La vita e la società nel pensiero di Pirandello


Pirandello prese da Bergson la concezione della vita come un flusso continuo, per cui tutto ciò, che prende forma, si sottrare al movimento, si cristallizza e quindi comincia a morire. Anche la vita umana assume una forma e quindi noi siamo in “trappola”, come sostiene Pirandello.
“Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non si arresta mai e fissati per la morte. Dura ancora per un breve spazio di tempo il movimento di quel flusso in noi, nella nostra forma separata, staccata e fissata; ma ecco, a poco a poco si rallenta; il fuoco si raffredda; la forma si dissecca; finché il movimento non cessa del tutto nella forma irrigidita… E questo abbiamo chiamato vita!”: scrive Pirandello nella su novella “La trappola” del 1912. Noi tutti quindi “siamo tanti morti affaccendati, che c'illudiamo di fabbricarci la vita. Ci accoppiamo, un morto e una morta, e crediamo di dar la vita, e diamo la morte... Un altro essere in trappola!”
Anche la vita umana quindi non è altro che forma e perciò destinata alla morte. Nell’arco dell’esistenza l’uomo assume aspetti diversi di volta in volta, peraltro non liberamente, ma condizionato dalle circostante e dalle persone con cui viene a contatto. Per Pirandello l’uomo infatti assume tante maschere che non solo egli si impone, ma lo fa anche la società stessa in contesti diversi. Nel romanzo “Uno, nessuno, centomila” le personalità possono addirittura essere centomila o tragicamente “nessuna” e si delinea così il dramma dell’uomo che, dopo aver recitato tante parti con personalità diverse, finisce con il non riconoscersi in una personalità in particolare.
Ne deriva una crisi di identità che porta alla frantumazione dell’io ed alla fine di tutte le certezze. Da questa situazione una via di salvezza per l’uomo potrebbe essere la follia, intesa non come una grave malattia, ma in senso pirandelliano, come possibilità di scoprirsi e vedersi in modo diverso da quello in cui egli credeva di essere e/o in cui gli altri pensavano che fosse, come è successo a Vitangelo, protagonista del romanzo “Uno, nessuno, centomila”, che si scopre diverso da come si vedeva lui e da come lo vedeva la moglie.
La prima trappola è perciò la vita, la seconda è la società. Apparteniamo infatti ad un contesto, in cui gli altri ci impongono dei comportamenti, che a volte contrastano con la nostra natura, ma che accettiamo per pigrizia o per convenzione, fino a rovinarci la vita, come è successo a Marta, la protagonista di “L’esclusa”, il primo romanzo di Pirandello.
Marta è stata cacciata di casa dal marito per un tradimento che in realtà non c’era stato ed, ironia della sorte, quando ha compiuto “il fatto”, viene ripresa in casa dallo stesso marito, che si impegna a dimostrare ai compaesani che quel fatto non è mai avvenuto: ecco come siamo condizionati dai preconcetti della società, che condanna una volta per sempre, solo fermandosi all’apparenza ed incurante della verità!
Se è impossibile vivere in società, è altrettanto impossibile, però, vivere fuori da essa: nel romanzo “Il fu Mattia Pascal” infatti il protagonista, che desidera rifarsi una vita al di fuori dei suoi ambiti sociali, si rende conto di non poterlo fare, perché, non risultando all’anagrafe, non può sposare la donna che ama, né può denunciare un furto, che ha subito, nè può svolgere una normale attività, essendo privo di identità.
L'unica via di uscita da questa situazione opprimente è la fuga in quella che Pirandello definisce la “filosofia da lontano”, cioè la fuga nell’irrazionale, che comporta una forma di estraniazione dalla realtà sociale, guardandola in modo distaccato ed ironico, con la consapevolezza della sua inconsistenza.





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