La figura dell’inetto nei romanzi di Svevo


La figura dell’inetto è tipica della narrativa del primo novecento, in quanto proprio in questo periodo entrano in crisi le certezze dell’uomo, prima fra tutte viene meno la fiducia nelle capacità dell’uomo di essere artefice del proprio destino. Anche la figura dell’intellettuale perde la sua funzione di guida della società, anzi è schiacciato da essa. Queste frustrazioni hanno alimentato quelle caratteristiche, che sono tipiche della figura dell’inetto.
L’analisi di questo personaggio è presente soprattutto nell’opera di Svevo.
Nel primo romanzo, “Una vita”, l’autore analizza la figura di un umile impiegato, Alfonso, di cui mette in luce il suo disadattamento nei rapporti sia con i colleghi, sia con la donna.
Anche Emilio, il protagonista del secondo romanzo “Senilità”, non sa agire, è un debole e non coltiva alcun progetto. Non riesce a farsi amare da Angiolina, che pure si concede facilmente ad altri e quando lei lo abbandona, Emilio non sa reagire e continua una vita senile. Quest’ultimo aggettivo è quanto mai indicativo, perché non vuole sottolineare una connotazione cronologica, quanto la condizione psicologica di chi non hai mai avuto l’energia, la speranza e tutte quelle doti, che caratterizzano l’età giovanile.
Anche nel terzo romanzo “La coscienza di Zeno” Svevo tratteggia la figura del protagonista come un inetto, incapace di prendere una decisione in piena autonomia, senza lasciarsi trascinare dagli eventi e dai condizionamenti degli altri, che regolarmente decidono per lui. Per la sua inettitudine Zeno è agitato e vorrebbe sperimentare nuove modalità di vita, perché è desideroso della “salute”, quella che poi è considerata la “normalità”. Mentre i cosiddetti sani hanno assunto una forma, che è comunque rigida, egli non riesce ad integrarsi nel suo ruolo familiare e sociale.
Ma proprio attraverso la malattia Zeno sottintende una denuncia della vacuità dell’esistenza di coloro che si dichiarano sani, che vivono contenti, coerenti con le loro certezze.
A differenza degli due romanzi sveviani nella “Coscienza Di Zeno” quindi c’è quasi un riscatto della figura dell’inetto o quanto meno vengono messi in luce anche gli elementi positivi. L’inetto infatti, proprio per la sua propensione al cambiamento risulta più sano di coloro che sono considerati tali, ma che di fatto sono i veri malati, perché sono affetti dal morbo della “staticità”.
In questo modo Svevo concorda con Pirandello nel considerare vitale tutto ciò che è in movimento e invece ritenere destinato alla morte ciò che si sottrae al flusso continuo della vita e si cristallizza in forme rigide.





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