La Memoria Per Bergson




tempo, Bergson


Per il filosofo francese Henri Bergson (1859- 1941) noi conosciamo la realtà attraverso la percezione, che naturalmente offre un’immagine segmentata di essa e dura il momento in cui si effettua . Queste percezioni si fissano sotto forma di ricordi nella memoria, dove invece permangono, anche se noi non ne abbiamo consapevolezza.
Quando questi ricordi appaiono alla coscienza, si aggiungono a percezioni analoghe del presente, le arricchiscono e si fondono con esse, secondo un flusso continuo.
Per comprendere l’importanza e la novità del pensiero di Bergson bisogna ricordare che la sua speculazione filosofica parte dal rifiuto della concezione che del tempo aveva la scienza, per la quale i vari istanti si succedono l’uno all’altro, perché, se così fosse, “ esisterebbe solo il presente” scrive Bergson nell’”Evoluzione creatrice”, “ il passato non si perpetuerebbe nel presente e non ci sarebbe evoluzione né durata concreta. La durata è l'incessante progredire del passato che intacca l'avvenire e che, progredendo, si accresce. E poiché si accresce continuamente, il passato si conserva indefinitamente.”
Ciò che è passato quindi si conserva in modo automatico ed è sempre in noi, è soltanto il nostro meccanismo mentale a spingerlo nell’inconscio, per far riaffiorare alla coscienza solo ciò che interessa al presente. Se infatti il passato non rimanesse, non si spiegherebbero le nostre inclinazioni ed il nostro carattere, che invece sono la risultante di ciò che siamo stati e che abbiamo fatto. Anche se noi abbiamo coscienza soltanto di una parte esigua del nostro trascorso, “ desideriamo, vogliamo, agiamo con tutto il nostro passato, comprese le nostre tendenze congenite”, scrive Bergson nell’ “Evoluzione creatrice”, “il nostro passato ci si rivela, dunque, nella sua interezza, con la pressione che esercita su di noi”.





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