Sentenze
Corte di Cassazione 8.2.2007 sez. V
(tributaria) aventi ad oggetto il presupposto impositivo dellIRAP per i
professionisti,in particolare linterpretazione del significato di
autonomia organizzativa.
Si ha esercizio di
"attività autonomamente organizzata" soggetta ad Irap ai sensi
dell'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 quando l'attività abituale ed autonoma del
contribuente dia luogo ad un'organizzazione dotata di un minimo di autonomia che
potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente stesso. Di guisa
che l'imposta non risulta applicabile ove in concreto i mezzi personali e
materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio
della sua attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono
anche soggetti esclusi dall'applicazione dell'Irap (collaboratori continuativi,
lavoratori dipendenti).
La sentenza ,dopo aver esaminato il giudizio della Commissione Regionale (punto 1) ed aver approfondito il concetto di autonomia organizzativa (punto2) sviscera la sentenza della Corte Costituzionale sul punto e la sentenza della Cass. 21203 2004- lunico precedente in materia (punto4), per giungere alle conclusioni di cui in massima.
Svolgimento del processo - Il Ministero dell'economia e l'Agenzia delleEntrate propongono ricorso per cassazione deducendo un unico motivo avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 3/32/04 depositata il 24 febbraio 2004.Lamenta l'ufficio che la Commissione d'appello abbia rigettato l'impugnazione avverso la sentenza di primo grado ed abbia ritenuto fondata l'istanza di rimborso dell'Irap versata per l'anno 1998 presentata dal signor A.B., dottore commercialista.
La Commissione di secondo
grado così motivava:
Riprendendo il filone
argomentativo sviluppato dai primi giudici si ritiene che la soluzione corretta
della controversia debba trarre necessariamente gli elementi interpretativi
dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001, la quale ha respinto
tutte le questioni sollevate ed ha precisato però che, in presenza di
svolgimento di attività professionale di lavoro autonomo occorra verificare se
questa venga svolta in presenza o assenza di organizzazione. In essa viene
detto: "È tuttavia vero - come taluni rimettenti rilevano - che mentre
l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa,
altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo,
ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile
ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di
capitali o lavoro altrui. Ma è evidente che nel caso in cui un'attività
professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui
accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce
questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta
sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2,
dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla
produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la
conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa". È ovvio che la
precitata sentenza di rigetto della Corte non ha efficacia vincolante, ma ha
solo il limitato effetto nei confronti del giudice remittente, ma assumendo essa
particolare rilievo per la forza argomentativa, non è corretto discostarsene,
senza una motivazione contraria.
In concreto il ricorrente ha
prodotto documentazione probante lo svolgimento dell'attività professionale di
commercialista privo di dipendenti, con attrezzature consistenti nei mobili di
ufficio, telefono, automezzo, personal computer e, quindi, ha dimostrato di
esercitare la propria attività con impiego di mezzi-beni strumentali di portata
definibili come minime (persino una famiglia comune potrebbe mediamente dotarsi
degli stessi beni) e senza dipendenti. Da ciò si desume che l'elemento
organizzativo sia pressoché inconsistente e che l'attività del contribuente
sia imperniata in modo esclusivo sulla propria persona.
Tale impostazione è ormai
accolta dalla prevalente giurisprudenza secondo la quale "il concetto di
autonoma organizzazione ai fini della soggettività Irap non deve essere
considerato con riferimento alla semplice sussistenza o meno di strumenti
materiali e personali utilizzati dal professionista che rende personalmente la
propria opera, ma deve comprendere anche la presenza di persone idonee, sia in
fatto che normativamente, a rendere quella stessa prestazione di lavoro
autonomo. Pertanto l'organizzazione può essere qualificata come autonoma quando
sia in grado, non solamente di amplificare l'opera del lavoratore autonomo ma
anche di sganciare, almeno potenzialmente l'attività dell'organizzazione da
quella dell'organizzatore".
L'Amministrazione ha
depositato memoria e note d'udienza di replica alle conclusioni favorevoli al
rigetto del Procuratore generale.
Motivi della decisione - Il
ricorso del Ministero risulta inammissibile mentre deve essere preso in esame il
ricorso dell'Agenzia. Sostiene l'Amministrazione nella sua memoria che la
controversia sarebbe stata definita con la procedura di cui all'art. 9 della L.
n. 289/2002. Non è però dato reperire in atti alcun documento che sorregga
simile affermazione; e dunque si deve procedere all'esame del merito del
ricorso. L'Amministrazione deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2
e 3 del D.Lgs. n. 446/1997 in relazione all'art. 360, n. 3), del codice di
procedura civile.
La decisione che si impugna
non brilla certo per chiarezza espositiva e per stringatezza
logico-motivazionale. Essa incentra l'oggetto del proprio decisum
sull'accertamento dell'esistenza di una struttura organizzativa di supporto al
lavoro svolto dal contribuente, optando, attraverso una valutazione meramente
quantitativa, per la negativa e, perciò, concludendo sull'estraneità della
predetta attività all'ambito applicativo dell'Irap: "può essere
qualificata come autonoma" dice la Commissione fiorentina, "quando sia
in grado non solamente di amplificare l'opera del lavoratore autonomo, ma anche
di sganciare almeno potenzialmente l'attività dell'organizzazione da quella
dell'organizzatore". In pratica la Commissione regionale opera un
accorpamento delle due affatto erronee posizioni che si stanno sviluppando in
sede di giurisprudenza di merito attorno all'applicazione dell'Irap (e che si
confida che codesta Corte possa presto e definitivamente confinare nel
dimenticatoio), in forza delle quali, da una parte, si ritiene semplicemente che
l'organizzazione debba andare intesa in senso quantitativo e, dall'altra, che
l'organizzazione medesima sia "autonoma" in quanto possa da sola
svolgere la medesima attività del lavoratore autonomo a prescindere dalla sua
persona. La Commissione, allora, conclude dicendo che siffatta
"autonomia", intesa nel predetto (del tutto sbagliato) modo, si
evidenzia proprio attraverso la "quantità" dell'organizzazione, onde
più ve ne è, di quest'ultima, e più c'è autonomia, mentre la scarsità della
stessa escluderebbe, perciò, la ricorrenza del presupposto dell'imposta.
L'aver deciso per l'inapplicabilità
dell'Irap nel caso de quo comporta, pertanto, l'adesione ad una concezione del
tutto errata dell'imposta, in relazione ai suoi presupposti di fatto e, in
particolare, all'espressione, utilizzata dal legislatore, di "autonoma
organizzazione".
Il discorso, allora, non può
che prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale citata dalla
stessa Commissione fiorentina nella narrativa della sentenza.
Essa, riferendosi alla detta sentenza, ha
escluso l'applicazione dell'imposta per cui è causa sulla base della mancanza
di "organizzazione" da parte del contribuente, riconducendo siffatto
divisamento a quanto i giudici della Consulta non hanno, a ben vedere, mai
affermato.
Il presupposto dell'imposta
denominata Irap, indicato dall'art. 2 rubricato è costituito
"dall'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta
alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi".
La disposizione è strettamente collegata al successivo art. 3, che individua i
soggetti passivi dell'imposizione. Occorre evidenziare che il legislatore,
usando l'espressione "pertanto sono soggetti all'imposta", non ha
potuto fare altro che ravvisare, nelle attività esercitate dai soggetti ivi
elencati, il requisito della "autonoma organizzazione". Infatti la
formulazione utilizzata ha la funzione di esplicitare i soggetti esercenti
quelleattività autonomamente organizzate che integrano il presupposto Irap.
Onde anche i lavoratori autonomi individuati alla lettera c) del comma 1 del
predetto art. 3, negli "esercenti arti e professioni di cui all'art. 49,
comma 1, del Tuir" svolgono un'attività autonomamente organizzata e come
tali sono soggetti all'imposta.
Pertanto, giova
preliminarmente escludere a priori ogni pur celato tentativo che tenda ad
escludere le attività libero-professionali dal campo di applicazione dell'Irap
solo per essere tali, dal momento che questo contrasterebbe inconciliabilmente
con la lettera della legge (esclusione che si legge in parecchie decisioni delle
Commissioni di appello, sulla base della francamente neppure ipotizzabile
conclusione che, siccome i lavoratori autonomi libero-professionali sono
iscritti ad un albo, essi non potrebbero mai giovarsi di una organizzazione che
funzionasse da sola, proprio per l'importanza ed imprescindibilità della loro
persona in ragione dell'appartenenza alla categoria).
La disciplina in tema, di
presupposto e soggetti passivi dell'Irap non consente, però, interpretazioni
che escludano dall'imposta l'esercizio di arti e professioni con riferimento
alla carenza (non assenza, ma si vedrà cosa effettivamente debba intendersi per
cotale "assenza") di una pur minima organizzazione, intesa questa come
possesso di beni strumentali o di utilizzo di personale dipendente. Onde,
laddove esiste lavoro professionale, non potrebbe non presumersi una pur minima
attività per organizzarlo, perché altrimenti non esisterebbe neppure tale
lavoro inteso come attività diretta alla produzione di ricchezza. Di talché,
dinanzi a siffatta presunzione del tutto logica, sarà il contribuente a dover
provare il contrario.
Invero il senso letterale
della normativa non dà alcuno spazio ad interpretazioni che individuino
categorie astratte e prescindano dall'aspetto dell'analisi concreta
dell'esistenza in fatto dei presupposti impositivi, tanto è vero che l'unica
strada adombrata è stata quella del ricorso al giudizio di legittimità
costituzionale, che tuttavia, a differenza di quanto ritenuto dalla nostra
Commissione d'appello, non ha prodotto gli effetti che se ne vorrebbero, del
tutto a sproposito, far derivare.
La Corte Costituzionale, estrapolando dal contesto generale solo il passaggio (sempre preso ad esempio dalle sentenze emesse sull'argomento) dove viene detto che "... è evidente che nel caso di un'attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive ...", ha voluto ben sottolineare come quello della presenza del requisito dell'"autonoma organizzazione" sia questione di fatto da accertarsi necessariamente. Solo che siffatto passo avrebbe dovuto essere letto in maniera corretta, vale a dire che i casi in cui il lavoro autonomo sia svolto senza la pur minima organizzazione non potrebbero che essere di scuola, volendo significare la norma che l'assenza di autoorganizzazione vuol dire che in tali casi l'organizzazione non è del lavoratore, ma di altri presso cui il lavoratore autonomo svolge la sua attività.
La sentenza della Corte non
è, però, di tipo "additivo" rispetto alla norma primaria. È da
escludersi in maniera assoluta, cioè, che la sentenza della Corte abbia
prodotto (o voluto produrre) effetti modificativi della disciplina Irap,
stabilendo la sua inapplicabilità anche quando l'attività professionale sia
svolta in mancanza di elementi di organizzazione, alterando pesantemente la
natura del presupposto dell'Irap che, secondo la stessa Corte, è pienamente
conforme al dettato costituzionale. Ciò in quanto quello che conta, per
l'applicazione dell'imposta, è l'"autonomia" dell'organizzazione
stessa, vale a dire il lavoro in sé, svolto direttamente dal professionista. È
solo quando il medesimo professionista si trovi a partecipare di una
organizzazione posta in essere da altri, allora egli è fuori dal campo Irap. Ed
è proprio di ciò che dal medesimo deve essere data la prova.
Invero la Corte
Costituzionale ha respinto tutte le numerose censure di incostituzionalità
sollevate dai giudici rimettenti e, pertanto, non possono ritenersi modificati i
presupposti soggettivi di applicazione del tributo indicati negli artt. 2 e 3
del D.Lgs. n. 446/1997. Inoltre, occorre pure evidenziare che la Consulta non ha
adottato neppure una sentenza "interpretativa" di rigetto, poiché non
ha condizionato la legittimità del provvedimento legislativo alla circostanza
che lo stesso venga interpretato nei sensi resi palesi dalle motivazioni.
Quanto detto è avvalorato dal fatto che
la stessa Corte Costituzionale, con le ordinanze n. 286/2001 e n. 103/2002 ha
riconfermato la piena legittimità degli artt. 2 e 3 su richiamati, pur avendo
potuto, in tali successivi giudizi di legittimità costituzionale, alla luce del
dibattito giurisprudenziale originato dalla citata sentenza n. 156, intervenire
con pronunce di tipo additivo o interpretativo, ovvero per specificare gli
effetti che aveva inteso apportare sulla disciplina Irap con la predetta
sentenza, cosa che non è avvenuta.
Non possono, quindi,
individuarsi nuovi criteri interpretativi di applicazione
dell'imposta in base alle motivazioni adottate dalla Corte (cfr., in tal senso,
la risoluzione n. 23/E del 5 febbraio 2003 dell'Agenzia delle Entrate).
Le pronunce dei giudici
tributari che, come quella in esame, hanno operato una erronea distinzione tra
esercenti arti e professioni aventi o meno una sufficiente organizzazione ai
fini dell'imposizione Irap, sembrano mutuare quegli stessi concetti di
organizzazione che furono elaborati proprio in tema di Ilor. Tale commistione
tuttavia è, evidentemente, non appropriata. Sono, infatti,
chiare le diversità sistematiche e logiche dei due tributi. Invero l'Ilor
attuava la discriminazione qualitativa dei redditi, andando a colpire i soli
proventi fondati su componenti patrimoniali. Nel caso dell'Irap, invece, le
molteplici circostanze che giustificano il tributo si riconducono allo
svolgimento in sé delle attività autonomamente organizzate e alla rilevanza
che tale dato - oggettivamente considerato - assume quale elemento idoneo a
produrre un valore aggiunto che, sotto altri profili e con altra imputazione
soggettiva finale del carico fiscale, già viene preso in considerazione
dall'Iva.
Ai fini Irap siamo di fronte
ad una attività autonomamente organizzata anche per quelle attività che
consistono soltanto nell'organizzazione del lavoro proprio, ciò che rileva è
dunque ... mentre l'elemento patrimoniale è del tutto irrilevante. L'autonoma
organizzazione non deve essere intesa nel senso dell'autonomia dalla persona del
professionista cioè nel senso della capacità che l'organizzazione del lavoro
dovrebbe avere di funzionare per conto suo, perché ciò contrasterebbe con la
lettera della legge e non avrebbe alcun senso logico sistematico ma deve essere
intesa nel senso di organizzazione propria dello stesso professionista e non
appartenente a struttura terze, ove il lavoratore apporti la propria
professionalità.
Senza contare la pur decisiva
circostanza che, quanto all'Irap, come pure confermato dalla Corte
Costituzionale con la più volte citata sentenza n. 156, non siamo in presenza
di una imposizione reddituale, come avveniva per l'Ilor, ma di una imposta
basata si di un "fatto economico" consistente nel valore aggiunto
fornito da una determinata attività. Con totale esclusione della possibilità
che possa verificarsi la erroneamente più volte paventata doppia imposizione
reddituale.
Autorevole dottrina sostiene
in tal senso che: "l'ulteriore requisito dell'autonomia dell'organizzazione
dell'attività produttiva dovrebbe avere la funzione di rafforzare il carattere
di abitualità dell'attività medesima, riconoscendo la possibilità che il
presupposto dell'imposta sia integrato anche dalla mera
autoorganizzazione". Dunque per produrre valore aggiunto non sono sempre
indispensabili quantità anche minime di capitali o lavoro altrui, ma può
bastare la capacità di ottenere credito o la possibilità di procurarsi la
propria clientela (in tale senso Comm. trib. reg. del Veneto n. 82/6/02 del 10
ottobre 2002).
Deve pertanto essere
riaffermato che, nell'ambito del lavoro autonomo, restano esclusi
dall'imposizione Irap soltanto ipotesi di esercizio in forma occasionale (l'art.
2 del D.Lgs. 446 richiede l'abitualità) e quelle attività estrinsecatesi in
una collaborazione coordinata e continuativa [art. 49, comma 2, lettera a), del
Tuir, in vigore fino al 31 dicembre 2000], nonché le altre attività indicate
nei commi 2 e 3 dell'art. 49 del Tuir [l'art. 3, comma 1, lettera c), del D.Lgs.
n. 446, infatti, richiama solo il primo comma dell'art. 49). Dove c'è libera
professione non svolta alle dipendenze o sotto il coordinamento altrui c'è
giocoforza autonoma organizzazione del proprio lavoro, altrimenti non ci sarebbe
neppure quest'ultimo. Quanto appena detto è proprio ciò che la Commissione
regionale sembra non avere afferrato, dal momento che ha dato l'idea di aderire
ad una concezione "quantitativa" dell'organizzazione del lavoro
professionale e non a quella "qualitativa", postulata dalla norma con
l'avverbio "autonomamente".
Non era, pertanto, questione
di provare o meno un quantitativo minimo di struttura organizzativa, sibbene di
verificare se il professionista lavorasse in proprio o fosse unicamente alle
dipendenze di terzi, ovvero solo sotto il coordinamento di altri, ovvero ancora
se l'attività nella sua interezza, afferente l'anno di imposta considerato,
potesse ritenersi del tutto occasionale, perché, in assenza di siffatte
condizioni, chi lavora in proprio e produce reddito non può non
"organizzare" il proprio lavoro, altrimenti non lavora nemmeno, ciò
significando che in tal modo si "auto-organizza" il proprio lavoro e
non si appartiene a strutture estranee, non altro.
Oltre tutto, la Commissione,
in aggiunta all'errore nel ritenere che bisognasse provare elementi in realtà
estranei alla struttura normativa dell'imposta per cui era causa, neppure ha
verificato con esattezza la reale portata di quanto ad essa offerto dal
contribuente, posto che, aderendo alla concezione esatta dell'ambito applicativo
dell'Irap, sarebbero bastati anche i minimi elementi che trapelavano dalla
documentazione prodotta dal contribuente per convincere che, anche nel caso in
esame, si fosse in presenza di tutto ciò che la legge richiede per
l'applicazione dell'imposta.
2. L'attività
"autonomamente organizzata"
La Corte ritiene che il
ricorso debba essere respinto.
Esso in punto di diritto
afferma, riprendendo decisioni di alcuni giudici di merito, "che l'attività
professionale è autonomamente organizzata (e dunque è soggetta ad Irap) quando
viene svolta senza essere indirizzata e controllata da altri ed è, invece, non
autonomamente organizzata quando, anche se esercitata da un professionista
regolarmente iscritto all'albo, è sotto controllo altrui. Laddove il lavoratore
autonomo abbia autonomia di scelte sui modi, sulle condizioni e sulle finalità
del proprio operare, così da organizzare tempi, luoghi e strumenti senza
vincolanti disposizioni di terzi, si realizza il presupposto impositivo Irap,
non richiedendo la legge l'esistenza di un autonoma organizzazione di mezzi, ma
di attività. L'esistenza di beni o rapporti strumentali manifesta quindi detta
autonomia, ma non ne è requisito indispensabile. Di guisa che e l'assenza di
dipendenti o beni strumentali non inficia la validità della tesi dell'ufficio e
la conseguente non spettanza del rimborso Irap richiesto".
È agevole cogliere come
l'Amministrazione sostenga che deve considerarsi come autonomamente organizzata
ogni attività non occasionale che non sia eteroorganizzata.
La tesi trovava rispondenza
nel testo originario del D.Lgs. n. 446/1997 il cui art. 2 assoggettava
all'imposta regionale sulle attività produttive (Irap) "l'esercizio
abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi".
A sua volta la lettera c) del
comma 1 dell'art. 3 (rimasto immutato) precisa che sono soggetti passivi della
imposta "le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse
equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del testo unico delle imposte dei
redditi esercenti arti e professioni di cui all'articolo 49, comma 1, del
medesimo testo unico". Da questa seconda norma si deduce che non sono
invece soggetti ad imposta i singoli e le società di persone che esercitino
un'attività di produzione o scambio di beni o servizi riconducibile nell'ambito
dei commi 2 (e 3) del medesimo art. 49 o, a maggior ragione, nell'art. 47
(attività assimilate al lavoro dipendente), o addirittura svolgano attività di
lavoratore dipendente (Irap sui compensi percepiti da questi soggetti è però -
almeno di regola dovuta da chi li utilizza).
Il testo originario del
D.Lgs. n. 446/1997 assoggettava dunque ad imposta ogni attività degli esercenti
professioni intellettuali che possedesse il requisito della "abitualità"
e quindi non fosse esercitata occasionalmente. La formulazione del decreto
delegato non coincideva però con quella della legge delega 23 dicembre 1996, n.
662, che al comma 144 prevedeva l'applicazione dell'imposta in relazione
"all'esercizio di una attività organizzata per la produzione di beni o
servizi". Il D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, ha quindi aggiunto, nel citato
art. 2 la specificazione secondo cui la attività deve essere
"autonomamente organizzata".
L'art. 2 citato ha quindi
assunto il seguente tenore:
"Presupposto dell'imposta è l'esercizio abituale di una attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi".
Può essere utile, per un
verso, un raffronto con l'art. 2082 del codice civile:
("Imprenditore") "1. È imprenditore chi esercita
professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o di servizi.
Per altro verso, appare opportuno tenere
presente la dizione del comma 2 dell'art. 5 del D.P.R. 633/1972 secondo cui
"per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione
abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da
parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni
senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in
forma associata delle attività stesse".
Certo la tecnica legislativa
è oggi meno puntuale e precisa di un lontano passato quando si affermava che
ogni parola, ogni punto, ogni virgola scritta dal legislatore dovesse assumere
un preciso significato e nessuno di questi segni potesse essere considerato
superfluo.
Tuttavia riesce difficile
accettare la tesi erariale secondo cui queste due parole (che - come già
ricordato - hanno formato oggetto di una specifica modifica del testo
legislativo) sarebbero sostanzialmente superflue; in quanto già il testo del
1997 esigeva le attività colpita fosse abituale ed autonoma (anche attraverso
il rinvio all'art. 49, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986).
Dunque non appare
condivisibile la tesi prospettata nella memoria dell'Avvocatura erariale,
secondo cui le due parole aggiunte avrebbero solo lo scopo di rendere più
chiaro "il motivo dell'esclusione dai soggetti passivi dei collaboratori
che svolgono attività coordinata e continuativa"; di ribadire ciò che
legge già diceva espressamente, cioè "l'esclusione dall'imposizione delle
attività di collaborazione coordinata e continuativa le quali si avvalgono di
un'organizzazione eteronoma, nonché delle attività professionali"
eserciate in modo occasionale.
Del resto, la formula
legislativa di cui si discute trae le sue origini dalla "relazione
Gallo" (il Prof. Franco Gallo, presiedette la Commissione istituita
dall'allora Ministro delle finanze Augusto Fantozzi, per la riforma del sistema
tributario secondo criteri di decentramento fiscale, di semplificazione e di
perequazione regionale con l'obiettivo di raggiungere il cosiddetto
"federalismo fiscale a costituzione invariata"), testo ripreso nella
relazione ministeriale di presentazione del decreto delegato n. 446/1997 in cui
si riportano e si fanno propri brani tratti da tale relazione; in particolare le
affermazioni (coerenti forse più con il testo della legge delega che del
decreto delegato) secondo cui "l'organizzazione si risolve, per il suo
titolare, in disponibilità di beni e in prestazioni economicamente valutabili,
corrispondenti alla potenzialità produttiva dell'organizzazione stessa" e
che l'organizzazione "implica necessariamente 'poteri di comando' su beni e
servizi economicamente valutabili". Dunque si parla di una potenzialità
produttiva dell'Amministrazione in qualche modo distinguibile rispetto alla
potenzialità produttiva del singolo.
Non appare cioè possibile
applicare l'Irap a tutte le attività che costituiscono presupposto per
l'applicazione dell'Iva; la diversa dizione legislativa trova rispondenza in una
differenziazione sostanziale di disciplina legislativa. L'Iva grava infatti sul
consumatore, mentre l'Irap grava sull'attività produttiva.
3. La giurisprudenza
della Corte Costituzionale
In questo quadro
debbono essere collocate le affermazioni della sentenza n. 156/2001 della Corte
Costituzionale, che certo non costituisce un vincolo giuridico per il
magistrato; ma rappresenta pur sempre una presa di posizione di particolare
autorevolezza; che deve essere valutata con specifico riferimento alla funzione,
ed ai limiti, dell'intervento della Corte Costituzionale.
Investita da un consistente
insieme di eccezioni, la Corte ha, in primo luogo, affermato che "l'imposta
colpisce con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito,
comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto
organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la
ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia
misura, concorrono alla sua creazione".
Ed ha ritenuto legittima tale
scelta di fondo operata dal legislatore fiscale ancorché essa investa una
"mera potenzialità di capacità contributiva, suscettibile di non tradursi
in reddito nel caso in cui l'ammontare di retribuzioni ed interessi passivi sia
uguale o superiore al valore della suddetta produzione netta, attesa anche la
mancata previsione di qualsivoglia meccanismo di rivalsa".
Sempre nell'ambito di queste
considerazioni la Corte ha dichiarato "irrilevante, ai fini della
valutazione della conformità dell'imposta al principio di capacità
contributiva, la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto
passivo dell'imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto
prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori).
Come si verifica per qualsiasi altro costo (anche di carattere fiscale) gravante
sulla produzione, l'onere economico dell'imposta potrà essere infatti
trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato,
o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte
organizzative".
Sono state così respinte
tutte le eccezioni di illegittimità costituzionale che coinvolgevano
radicalmente l'impostazione di fondo dell'imposta, che quindi ne avrebbero
determinato il venir meno in relazione a tutti i contribuenti.
Per quanto attiene alle
questioni qui sul tappeto, il cuore della sentenza è costituito dal passo in
cui la Corte valuta la legittimità dell'Irap "nella parte in cui - secondo
i giudici che hanno sollecitato l'intervento della Corte - l'imposta opererebbe
un'ingiustificata equiparazione, ai fini del trattamento fiscale, tra redditi di
impresa e redditi di lavoro autonomo, con violazione vuoi del principio di
eguaglianza, vuoi del principio di capacità contributiva, vuoi, infine, del
principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme".
La Corte respinge le
eccezioni, in primo luogo, ribadendo che l'Irap non sarebbe un'imposta sul
reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto
prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
"Non riguardando,
dunque, la normativa denunciata la tassazione dei redditi personali, le censure
riferite all'asserita equiparazione del trattamento fiscale dei redditi di
lavoro autonomo a quello dei redditi di impresa" risulterebbero
"fondate su un presupposto palesemente erroneo".
"L'assoggettamento
all'imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività
autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o
professionale, è d'altro canto pienamente conforme ai principi di eguaglianza e
di capacità contributiva - identica essendo, in entrambi i casi, l'idoneità
alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta - né appare in
alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro".
È tuttavia vero - soggiunge
la Corte - che mentre l'elemento organizzativo connaturato alla nozione stessa
di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro
autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è
possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di
organizzazione di capitali o lavoro altrui.
Ma è evidente che nel caso
di un'attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di
organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni
normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il
presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto
rappresentato, secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi", con la conseguente inapplicabilità
dell'imposta stessa.
Questo insieme di circostanze
impedirebbe poi anche il realizzarsi di un'ingiustificata disparità di
trattamento in danno dei lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori subordinati,
non assoggettati all'imposta.
Una volta chiarito, infatti,
che l'Irap non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore
aggiunto prodotto (VAP) dalle attività autonomamente organizzate, nessuna
ingiustificata disparità di trattamento può ravvisarsi nell'inclusione tra i
soggetti passivi dell'imposta dei lavoratori autonomi - in quanto appunto
esercenti attività autonomamente organizzate - e non anche dei lavoratori
dipendenti, la cui attività è per definizione priva del connotato
rappresentato dall'autonoma organizzazione.
Quanto all'inclusione tra i
soggetti passivi dell'imposta degli esercenti arti e professioni di cui all'art.
49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi e non anche degli altri
lavoratori autonomi indicati ai commi 2 e 3 della stessa norma; essa troverebbe
giustificazione nella non irragionevole presunzione circa la mancanza del
requisito dell'autonoma organizzazione nelle diverse ipotesi, previste dai commi
2 e 3 del menzionato art. 49, di lavoro autonomo occasionale o comunque non
abituale.
Con molta prudenza, la Corte
non fornisce poi all'interprete esplicite indicazioni circa il significato di
"autonoma organizzazione" e si limita ad affermare che si tratta di
"questione di fatto", rimessa dunque - sembrerebbe quasi dire la Corte
- al giudice di merito, sotto il limitato controllo del giudice di legittimità
previsto dall'art. 360, n. 5), del codice di procedura civile (difetto di
motivazione).
Tuttavia la Corte propone
considerazioni di diritto che questo Collegio ritiene di condividere perché
fondate su una puntuale interpretazione della legge, nei suoi aspetti letterali
e sostanziali.
La Corte afferma cioè che
l'Irap ha un carattere di realità e non è un'imposta sui redditi, tale
carattere di realità comporta venga colpito "il valore aggiunto prodotto
da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere
imprenditoriale o professionale, è d'altro canto pienamente conforme ai
principi di eguaglianza e di capacità contributiva - identica essendo, in
entrambi i casi, l'idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova
ricchezza prodotta - né appare in alcun modo lesivo della garanzia
costituzionale del lavoro". A sua volta l'ordinanza n. 103/2002 della
medesima Corte ha ribadito "nessuna ingiustificata disparità di
trattamento può d'altro canto ravvisarsi nell'inclusione tra i soggetti passivi
dell'imposta dei lavoratori autonomi, in quanto esercenti attività
autonomamente organizzate, e non anche dei lavoratori dipendenti, "la cui
attività è per definizione priva del connotato rappresentato dall'autonoma
organizzazione".
Appare dunque evidente che la
costituzionalità dell'imposta viene affermata in relazione ad una sua
caratteristica: di colpire una struttura che differenzia il lavoratore autonomo
soggetto ad Irap dal lavoratore subordinato o parasubordinato (e dal lavoratore
autonomo non soggetto ad Irap) e giustifica l'assimilazione del lavoro autonomo
al regime dell'impresa (sia pure di minime dimensioni). Questo profilo merita di
essere particolarmente sottolineato perché con questa riflessione la Corte ha
esercitato la sua specifica funzione di controllo costituzionale. La
costituzionalità della norma sarebbe a rischio se non vi fossero le parole
"autonomamente organizzata"; o esse dovessero venire vanificate in
sede interpretativa, di guisa che venisse colpita "un'attività
professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro
altrui".
Solo così l'imposta colpisce
un "valore aggiunto" (VAP) e non un reddito (e sfugge all'addebito di
incostituzionalità).
L'Irap applicata ad un
lavoratore autonomo o professionista privo di qualsivoglia struttura
organizzativa capace di potenziare il suo prodotto, rispetto al prodotto di
collaboratore autonomo e continuativo o al prodotto di un lavoratore dipendente,
verrebbe infatti a costituire una mera soprattassa sul reddito, che graverebbe
solo sui lavoratori autonomi, in violazione dei principi affermati dalla Corte
Costituzionale in relazione all'Ilor (sentenza n. 42/1980).
4. La sentenza della Sezione
tributaria della Cassazione n. 21203 del 5 novembre 2004
Nella linea tracciata dalla
Corte Costituzionale si colloca la sentenza di questa Corte n. 21203/2004. Il
caso riguardava un ingegnere libero professionista che nel 1998 aveva versato il
primo acconto Irap, pari a lire 5.279.000 su un imponibile di lire 124.574.000.
Successivamente, aveva presentato istanza di rimborso di detta somma, diretta al
deducendo vari profili di illegittimità costituzionale del D.Lgs. 15 dicembre
1997, n. 446, istitutivo dell'Irap ed impugnando il conseguente
silenzio-rifiuto, sia assumendo che le norme istitutive dell'Irap si ponevano in
contrasto con i principi costituzionali enunciati dagli artt. 3, 23, 53 e 76
della Costituzione, sia comprovando documentalmente di esercitare la professione
in assenza di una struttura organizzativa e di dipendenti o collaboratori e
senza l'impiego di capitali avuti a mutuo.
La Commissione tributaria
provinciale accoglieva il ricorso, motivando che il tributo de quo era
inoperante nei confronti di quei contribuenti, i quali non siano in alcun modo
dotati di un'autonoma organizzazione. Avverso questa decisione l'Agenzia delle
Entrate proponeva gravame con argomentazioni tratte dall'ammontare dei compensi
percepiti dal contribuente, dal valore dei beni strumentali e dalla
corresponsione di compensi a terzi.
La Commissione tributaria
regionale, rigettava l'appello sostenendo che il giudice di primo grado si era
uniformato ai principi affermati dalla Corte Costituzionale; la questione di
fatto era stata risolta in senso favorevole al contribuente alla stregua delle
prove documentali che consentivano di escludere sia l'esistenza di una struttura
organizzativa stabile, sia l'impiego di capitali.
L'Amministrazione finanziaria
proponeva ricorso con tre mezzi; di cui il primo attinente ad un presunto vizio
di ultrapetizione non assume rilievo in questa sede.
Con il secondo mezzo veniva
dedotta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360, n. 5), del codice di
procedura civile. Si assumeva, in modo specifico, che, a fronte dei particolari
rilievi svolti in atto di appello in ordine agli elementi della struttura
organizzativa (valore dei beni strumentali, corresponsione di compensi a due
soggetti), la Commissione di II grado si era limitata ad affermazioni
apodittiche, senza una qualsivoglia motivazione.
Con la terza doglianza veniva
censurata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n.
446/1997, in relazione all'art. 360, n. 3), del codice di procedura civile.
Veniva, particolarmente, evidenziato che il senso letterale della normativa era
tale da escludere la necessità della verifica dell'esistenza di
un'organizzazione, che abbia caratteristiche ulteriori rispetto a quella
dell'abitualità e dell'autonomia dell'attività esercitata.
La Corte rigettava il ricorso
affermando:
Infondato è il vizio
motivazionale, dedotto con il secondo mezzo. I giudici di secondo grado non si
sono affatto limitati ad enunciare affermazioni apodittiche.
In realtà, nell'impugnata
decisione, attraverso una compiuta analisi della sentenza della Corte
Costituzionale ed un'analitica rassegna della giurisprudenza di merito, si
delineavano i principi applicativi della disciplina normativa dell'Irap.
Quindi, si recuperava a piena
validità la decisione di primo grado, non richiamandola semplicemente per
relationem, bensì espressamente rivalutandone l'iter argomentativo. Si
sottolineava, in particolare, che la soluzione favorevole si radicava "alla
stregua delle prove documentali che, in presenza di beni strumentali e di
occasionali compensi a terzi, escludevano, nell'esercizio della professione del
contribuente, sia l'esistenza di una struttura organizzativa stabile, con
lavoratori subordinati o con collaboratori parasubordinati, sia l'impiego di
capitali provenienti da mutui esterni".
Era disatteso, anche il terzo
motivo di ricorso, con cui si censurava la violazione ed errata applicazione
delle norme fondamentali: gli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997, nel senso che
non era necessaria la verifica dell'esistenza di un'organizzazione avente
caratteri ulteriori rispettoall'abitualità ed autonomia dell'attività
esercitata.
Secondo la sentenza n. 21203
"trattavasi, all'evidenza, dell'inammissibile introduzione di una questione
di fatto, che i giudici di secondo grado hanno analiticamente delibato e
congruamente motivato come si evince dalla disamina innanzi svolta".
La sentenza pur con una
motivazione prevalentemente in fatto, ha risolto anche la questione di diritto
respingendo la tesi dell'Avvocatura secondo cui "l'esistenza pur minima del
requisito dell'organizzazione sia una connotazione tipica del lavoro
autonomo"
5. Conclusioni
Le argomentazioni finora
svolte consentono di concludere che si ha esercizio di "attività
autonomamente organizzata" soggetta ad Irap ai sensi dell'art. 2 del D.Lgs.
n. 446/1997 quando l'attività abituale ed autonoma del contribuente dia luogo
ad un'organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la
capacità produttiva del contribuente stesso. Di guisa che l'imposta non risulta
applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso
il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale,
simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi
dall'applicazione dell'Irap (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti).
Non è dunque sufficiente
quella mera "autoorganizzazione" che la memoria dell'Avvocatura
riconosce propria anche delle attività abituali che danno luogo
all'applicazione dell'Iva.
Ne discende il rigetto del
ricorso in quanto il giudice di merito ha accertato che "il contribuente ha
prodotto documentazione probante lo svolgimento dell'attività professionale di
commercialista privo di dipendenti, con attrezzature consistenti nei mobili di
ufficio, telefono, automezzo, personal computer e, quindi, ha dimostrato di
esercitare la propria attività con impiego di mezzi-beni strumentali di portata
definibili come minime (persino una famiglia comune potrebbe mediamente dotarsi
degli stessi beni) e senza dipendenti. Da ciò si desume che l'elemento
organizzativo sia pressoché inconsistente e che l'attività del contribuente
sia imperniata in modo esclusivo sulla propria persona". E simile
accertamento in fatto non è contestato dall'Amministrazione sotto il profilo
del vizio di motivazione; non potendosi valutare a tal fine le apodittiche
asserzioni prive di qualsiasi riferimento specifico contenute nell'ultima parte
del ricorso.
L'affermazione contenuta
nella sentenza e sopra testualmente riportata appare sufficiente al fine del
decidere e del tutto autonoma rispetto all'ultima parte della sentenza impugnata
secondo cui sarebbe ormai prevalente in giurisprudenza l'affermazione secondo
cui "il concetto di autonoma organizzazione ai fini della soggettività
Irap non deve essere considerato con riferimento alla semplice sussistenza o
meno di strumenti materiali e personali utilizzati dal professionista che rende
personalmente la propria opera, ma deve comprendere anche la presenza di persone
idonee, sia in fatto che normativamente, a rendere quella stessa prestazione di
lavoro autonomo. Pertanto l'organizzazione può essere qualificata come autonoma
quando sia in grado, non solamente di amplificare l'opera del lavoratore
autonomo ma anche di sganciare, almeno potenzialmente l'attività
dell'organizzazione da quella dell'organizzatore".Sembra al Collegio che
simile proposizione abbia una funzione meramente ricognitiva e non costituisca
un'autonoma ratio decidendi. Perciò non viene presa in considerazione.
Non vi è luogo a provvedere
per le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso della
Agenzia.
Cass. 8.2.2007 sez V Sentenza n. 3673 - promotore finanziario
Non
sono esclusi dallambito di applicazione dellIRAP i professionisti (nel
caso di specie un promotore finanziario) che si avvalgano, in modo non
occasionale, di lavoro altrui, o impieghino nell'organizzazione beni strumentali
eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile
per l'esercizio dell'attività: eccedenza di cui è indice, fra l'altro,
l'avvenuta deduzione del costo ai fini dell'IRPEF o dell'IVA.
Svolgimento del processo - 1.
Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Brescia, il signor R.S.,
esercente l'attività di promotore finanziario, impugnò il silenzio-rifiuto
opposto dal competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate alla sua richiesta di
rimborso della somma di lire 69.780.000, versata a titolo di Irap per gli anni
1998-2001, asseritamente non dovuta per non avere egli esercitato abitualmente
un'attività autonomamente organizzata.
2. La sentenza n. 147 del
2003, con cui la Commissione adita aveva accolto il ricorso sulla ritenuta
inesistenza del presupposto impositivo costituito da una struttura organizzativa
autonoma, impugnata dall'ufficio che sosteneva l'applicabilità dell'Irap a
tutti gli esercenti un'attività professionale protetta, anche se svolta senza
l'impiego di beni strumentali, di dipendenti e collaboratori, fu confermata, con
la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della
Lombardia, Sezione staccata di Brescia, che respinse il gravame avendo giudicato
che il presupposto impositivo, mancante nella specie, debba farsi consistere in
un'autonoma organizzazione, la cui esistenza è ravvisabile allorché "la
combinazione di mezzi e persone è tale da poter operare, e quindi produrre
reddito, indipendentemente dall'attività personale del titolare".
3. Per la cassazione di tale
sentenza propone ricorso l'Agenzia delle Entrate, con due motivi, cui non
resiste l'intimato contribuente.
4. Motivi della decisione .
Col primo motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate -
denunziando, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), del codice di procedura
civile, violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 15 dicembre
1997, n. 446 - censura la sentenza impugnata per avere ritenuto soggetti ad
Irap, con lettura molto riduttiva della norma, solo gli esercenti di arti e
professioni che si avvalgono di strutture organizzative assimilabili a quelle
dell'impresa, capaci cioè di produrre reddito indipendentemente dall'apporto
personale del titolare; e per avere quindi escluso dall'imposta, fino ad
abrogarla di fatto nei loro confronti, la totalità dei professionisti, che
mantengono sempre un rapporto diretto e personale con la clientela, orientata a
scegliere le loro prestazioni intuitu personae, anche in presenza di
un'organizzazione complessa e cospicua; come accade, d'altronde, anche nei
confronti degli imprenditori individuali che, seguendo fino in fondo tale
interpretazione, avrebbero pure titolo all'esenzione.
4.1. Sostiene, in
particolare, la ricorrente che simile lettura della norma, formalmente ispirata
alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, sarebbe sostanzialmente in
contrasto con l'interpretazione datane dal giudice delle leggi, il quale ammette
che l'Irap, imposta reale gravante non sul reddito ma sul valore aggiunto
prodotto, in costanza di esercizio, dalle attività imprenditoriali o
professionali autonomamente organizzate, colpisce non solo tutte le imprese, ma
anche i liberi professionisti iscritti negli appositi albi, se svolgono la loro
attività avvalendosi di "elementi di organizzazione", la cui
esistenza ed entità debbono essere accertati in linea di fatto.
4.2. Sotto l'angolo visuale
della ricorrente, la locuzione "autonomamente organizzata" - aggiunta
dall'art. 1, comma 1, del D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137 all'art. 2 del D.Lgs. n.
446/1997 qualificherebbe dunque "l'attività svolta al di fuori del
controllo o delle direttive altrui", in contrapposizione a quella propria
del dipendente o del collaboratore, privo dell'opportunità di organizzarsi
autonomamente; mentre l'indispensabile contributo personale del professionista
"autonomo" rappresenterebbe soltanto uno degli elementi che
confluiscono nell'organizzazione, caratterizzandola ma non escludendola.
4.3. Il motivo di censura
suesposto è fondato e deve essere accolto, nei limiti dì ragione di seguito
espressi.
4.3.1. L'argomentazione
esposta dalla ricorrente parte dal principio che l'Irap, affrancata dal sospetto
di incostituzionalità grazie alla sentenza n. 156/2001 della Corte
Costituzionale, sia inapplicabile solo ai prestatori d'opera subordinati ed ai
collaboratori, la cui organizzazione produttiva manca del carattere di
"autonomia"; che, infatti, l'elemento discriminante dell'autonoma
organizzazione sarebbe interpretabile in senso soggettivo - come
auto-organizzazione, creata e gestita senza vincoli di subordinazione dal
professionista, che quasi si identifica con essa - anziché in senso oggettivo -
come apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui,
risultante dall'integrazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui.
4.3.2. In realtà,
l'espressione "autonomamente organizzata", assunto dalla legge quale
connotato indefettibile dell'attività abituale tassabile, è da interpretare
necessariamente in senso oggettivo, non solo perché l'elemento dell'autonomia,
se recepito in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il
professionista è autonomamente organizzato perché è un soggetto capace di
organizzazione autonoma), che non avrebbe richiesto un apposito intervento
legislativo di precisazione; ma soprattutto perché è l'unica interpretazione
"costituzionalmente orientata", quindi obbligatoria (Corte Cost., ord.
n. 452/2005, n. 361/2005, n. 283/2005, n. 433/2004; sent. n. 198/2003, n.
107/2003, n. 316/2001, n. 113/2000), essendo stato implicitamente evidenziato
dal giudice delle leggi, con la sentenza citata al paragrafo 4.1., che, se la
norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile l'imposta anche nel caso
di inesistenza del suddetto elemento oggettivo, risulterebbero violati i princìpi
di eguaglianza e di capacità contributiva, garantiti appunto dall'equiparazione
dell'attività di carattere professionale a quella imprenditoriale sul filo
dell'autonoma organizzazione, connaturata a quest'ultima e soggetta ad
accertamento nella prima; e che, pertanto, "nel caso di una attività
professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione ...
risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta".
4.3.3. Discende da questa
premessa che l'esatto senso da attribuire all'espressione "autonomamente
organizzata" non è quello di carattere soggettivo, sostenuto dalla
ricorrente (paragrafo 4.3.1.), in virtù del quale tutti gli esercenti arti e
professioni, indistintamente, sarebbero assoggettati all'imposta.
D'altra parte, la sentenza
impugnata - pur assumendo giustamente l'organizzazione autonoma in senso
oggettivo - erra (e per questo deve essere cassata) allorquando, definendo i
limiti di tale oggettività, alla ricerca di una demarcazione fra attività
professionali soggette e non soggette ad Irap, afferma che l'imposta sia dovuta
solo quando l'apporto personale del titolare dell'organizzazione risulti da
questa eclissato: ipotesi improbabile, se non impossibile, date le
caratteristiche intrinseche del lavoro professionale o artigianale, e peraltro
non riconducibile ad alcuna specifica disposizione normativa.
4.3.4. La mancanza di norme
esplicite in argomento - già rilevata dalla citata sentenza n. 156/2001 della
Corte Costituzionale - determina pertanto la necessità di ricavare,
dall'insieme delle disposizioni regolanti la materia, un criterio orientativo
dell'indagine che il giudice di merito deve condurre al fine di risolvere il
caso.
È perciò formulato, ai
sensi dell'art. 384, comma 1, del codice di procedura civile, il seguente
principio di diritto:
4.3.5. il rimborso dell'Irap
non spetta agli esercenti arti o professioni,
indicati dall'art. 49, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 [richiamato
dall'art. 3, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446],
responsabili in qualsiasi forma dell'organizzazione esclusi gli esercenti
arti o professioni inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità ed interesse, originariamente esenti dall'imposta - quando essi
si avvalgano, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghino
nell'organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il
minimo comunemente ritenuto indispensabile per l'esercizio dell'attività:
eccedenza di cui è indice, fra l'altro, l'avvenuta deduzione del costo ai fini
dell'Irpef o dell'Iva.
Il contribuente che agisce
per il rimborso dell'Irap, sostenendo di averla versata indebitamente, ha
l'onere di provare l'assenza delle suddette condizioni.
4.4. Nei termini suespressi,
la censura deve essere, pertanto, accolta. 5. Il secondo mezzo, con cui la
ricorrente, denunziando vizi della motivazione e violazione, sotto altro
profilo, delle stesse norme di legge, critica la decisione del giudice a quo in
quanto esclude - in base ad un'indagine meramente quantitativa, inesatta e non
fondata su evidenti parametri logici - il requisito dell'autonoma
organizzazione, è chiaramente assorbito.
6. In conclusione, il primo
motivo di ricorso deve essere accolto, per quanto di ragione, ed il secondo è
assorbito. La causa deve essere quindi rinviata, previa cassazione della
sentenza impugnata, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale
della Lombardia, che giudicherà uniformandosi al principio di diritto espresso
al paragrafo 4.3.5., e vorrà pure regolare fra le parti le spese di questo
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione
accoglie il primo motivo di ricorso, per quanto di ragione, e dichiara assorbito
il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di
questo giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Commissione tributaria
regionale della Lombardia.
Corte di
Cassazione, sez. V, 16 febbraio 2007 n. 3674 -pediatra
Massima
Il requisito
dellautonoma organizzazione necessaria perché unattività sia
soggetta ad IRAP ha portata oggettiva, anche se non è necessario che
lapparato organizzativo del professionista (nel caso specifico un pediatra)
raggiunga un grado di autonomia tale da eclissare la figura e lopera
dellesercente arti e professioni.
Svolgimento del processo
1. Con ricorso alla
Commissione tributaria provinciale di Brescia, la signora M.G.B., esercente
l'attività di medico pediatra in convenzione con l'Asl, impugnò il silenzio
rifiuto opposto dal competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate alla sua
richiesta di rimborso della somma di euro 15.533,19, versata a titolo di Irap
per gli anni 1998-2002, asseritamente non dovuta per non avere ella esercitato
abitualmente un'attività autonomamente organizzata.
2. La sentenza n. 226 del
2003, con cui la Commissione adita aveva accolto il ricorso sulla ritenuta
inesistenza del presupposto impositivo nel caso del prestatore d'opera
intellettuale, il cui personale apporto prevarrebbe sempre sull'organizzazione
dei fattori produttivi, impugnata dall'ufficio che denunziava il difetto di
motivazione del provvedimento e sosteneva l'applicabilità dell'Irap a tutti gli
esercenti un'attività professionale autonoma, oltre a rilevare l'impiego, nel
caso specifico, di beni strumentali, fu confermata, con la sentenza indicata in
epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione
staccata di Brescia, che respinse il gravame (e l'appello incidentale della
contribuente, relativo alle spese di lite) avendo giudicato che l'appellata non
era assoggettabile ad Irap per difetto del presupposto impositivo ravvisabile,
"in assenza dell'impiego rilevante di capitali e di risorse umane",
allorché l'opera del professionista risulti, come nel caso, prevalente sul
valore degli altri fattori produttivi impiegati.
3. Per la cassazione di tale
sentenza propone ricorso l'Agenzia delle Entrate, con un solo motivo, cui non
resiste l'intimata contribuente.
Motivi della decisione
4. Con l'unico motivo di
ricorso, l'Agenzia delle Entrate - denunziando, ai sensi dell'art. 360, comma 1,
nn. 3) e 5), del codice di procedura civile, violazione e falsa applicazione
degli artt. 3, comma 144, della L. 23 dicembre 1996, n. 662; 2, 3, 8, 27 e 36
del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonché omessa, illogica ed incoerente
motivazione - censura la sentenza impugnata per avere ritenuto soggetti ad Irap,
dando così alla norma una lettura molto riduttiva, solo gli esercenti di arti e
professioni che si avvalgono di strutture organizzative costituite mediante il
"rilevante" impiego di capitali e di risorse umane, rispetto ai quali
l'apporto personale del titolare non risulti prevalente.
4.1. Sostiene, in
particolare, la ricorrente che simile lettura della norma, formalmente ispirata
alla sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale, sarebbe in contrasto coi
risultati di un'esegesi storico-sistematica sulle origini e la funzione del
tributo in esame, oltre che con la stessa interpretazione fornita dal giudice
delle leggi, il quale ammette (nella sentenza di rigetto citata e, ancor più,
nell'ordinanza n. 426/2002) che l'Irap, imposta reale gravante non sul reddito,
ma sul valore aggiunto prodotto, colpirebbe indifferentemente sia le attività
imprenditoriali sia quelle professionali; e che il requisito dell'autonoma
organizzazione, non definito nei suoi elementi costitutivi, ma comunque
identificabile, per quanto riguarda gli esercenti di arti o professioni, nella
loro comune attitudine ad organizzarsi autonomamente per produrre un qualsiasi
reddito, li renderebbe tutti ed indistintamente soggetti ad Irap; che, al
contrario, ridurre il concetto di organizzazione autonoma come mostra di
ritenere il giudice a quo - al caso di impiego di capitali e risorse umane in
misura così rilevante da prevalere sull'apporto personale del professionista,
produrrebbe "un vero e proprio snaturamento dell'imposta ed un effetto di
sostanziale abrogazione" di essa.
4.2. Sotto l'angolo visuale
della ricorrente, la locuzione "autonomamente organizzata"- aggiunta
all'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 dall'art. 1, comma 1, del D.Lgs. 10 aprile
1998, n. 137 -, esaminata alla luce della relazione parlamentare a tale ultimo
testo di legge, qualificherebbe l'attività tipica del professionista autonomo,
svolta al di fuori del controllo o delle direttive altrui, e tenderebbe ad
escludere dall'incidenza dell'Irap solo l'attività del dipendente o del
collaboratore; infatti, il gettito di tale imposta non potrebbe essere
significativamente inferiore a quello dell'abolita imposta comunale per
l'esercizio di imprese, arti e professioni (Iciap), già ugualmente gravante su
imprenditori, artigiani e professionisti.
4.3. Il ricorso deve essere
rigettato, per le ragioni di seguito espresse.
4.3.1. L'argomentazione
esposta dalla ricorrente parte dal principio che l'Irap, affrancata dal sospetto
di incostituzionalità grazie alla sentenza n. 156/2001 della Corte
Costituzionale, sia inapplicabile solo ai prestatori d'opera subordinati ed ai
collaboratori, la cui organizzazione produttiva manca del carattere di
"autonomia"; che, infatti, l'elemento discriminante dell'autonoma
organizzazione sarebbe interpretabile in senso soggettivo - come
autoorganizzazione, creata e gestita senza vincoli di subordinazione dal
professionista, che quasi si identifica con essa - anziché in senso oggettivo -
come apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, frutto
dell'organizzazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui -; che quindi
dovrebbero essere assoggettati a questo tributo tutti gli esercenti arti o
professioni.
4.3.2. In realtà,
l'espressione "autonomamente organizzata", assunto dalla legge quale
connotato indefettibile dell'attività abituale tassabile, è da interpretare
necessariamente in senso oggettivo, non solo perché l'elemento dell'autonomia,
se inteso in senso soggettivo, si risolve in una mera tautologia (il
professionista è autonomamente organizzato perché è un soggetto capace di
organizzazione autonoma), che non avrebbe richiesto un apposito intervento
legislativo, di precisazione; ma soprattutto perché è l'unica interpretazione
"costituzionalmente orientata", quindi obbligatoria. per l'interprete
(Corte Costituzionale, ord. n. 452/2005, n. 361/2005, n. 283/2005, n. 433/2004;
sent. n. 198/2003, n. 107/2003, n. 316/2001, n. 113/2000), essendo stato
implicitamente evidenziato dal giudice delle leggi, con la sentenza citata al
paragrafo 4.1, e non certamente smentito dalla successiva ordinanza n. 426/2002
(di manifesta infondatezza delle identiche eccezioni già rigettate con detta
sentenza), che, se la norma fosse accolta nel senso di ritenere applicabile
l'imposta anche nel caso di inesistenza del suddetto elemento oggettivo,
risulterebbero violati i principi di eguaglianza e di capacità contributiva,
garantiti appunto dall'equiparazione dell'attività professionale a quella
imprenditoriale sul filo dell'autonoma organizzazione, connaturata a
quest'ultima e soggetta ad accertamento nella prima; e che, pertanto, "nel
caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di
organizzazione ... risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta".
4.3.3. Discende da questa
premessa che l'esatto senso da attribuire all'espressione "autonomamente
organizzata" non quello di carattere soggettivo, sostenuto dalla ricorrente
(paragrafo 4.3.1), in virtù del quale tutti gli esercenti arti e professioni,
indistintamente, sarebbero assoggettati all'imposta.
4.3.4. D'altra parte, la
sentenza impugnata - pur assumendo giustamente l'organizzazione autonoma in
senso oggettivo - erra (e per questo deve essere corretta, ai sensi dell'art.
384, comma 2, del codice di procedura civile) laddove, definendo i limiti di
tale oggettività, alla ricerca di una demarcazione fra attività professionali
soggette e non soggette ad Irap, afferma che "l'elemento organizzativo
viene meno quando ... l'opera del professionista sia ... prevalente" su
capitali e lavoro altrui.
Seguendo tale criterio,
l'Irap sarebbe infatti dovuta solo quando l'apparato organizzativo raggiunga un
grado di autonomia tale da eclissare la figura e l'opera dell'esercente arti o
professioni, responsabile e titolare dell'organizzazione produttiva: ipotesi
improbabile, se non impossibile, date le caratteristiche intrinseche del lavoro
professionale o artigianale, e peraltro non riconducibile ad alcuna specifica
disposizione normativa.
4.3.5. La rilevanza
riconosciuta all'aspetto oggettivo dell'organizzazione autonoma - al fine di
individuare gli esercenti di arti e professioni soggetti ad imposta - comporta,
d'altronde, la necessità di accertare la presenza o l'assenza degli elementi di
organizzazione attuati per svolgere l'attività professionale.
Tale accertamento - come pure
rileva la sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale - "in mancanza di
specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto",
indagabile dal giudice tributario di merito e non soggetta a controllo di
legittimità, se non per vizi logici della motivazione.
4.3.6. Su questo punto, la
sentenza della Commissione tributaria regionale - che ha ritenuto non
assoggettabile ad Irap l'attività professionale della contribuente, perché
condotta "senza l'ausilio di un dipendente e mediante l'impiego di beni
strumentali limitati" - non è stata utilmente criticata nel merito dalla
ricorrente, limitatasi a confutare genericamente l'erronea equiparazione delle
"ridotte dimensioni di strutture all'assenza di organizzazione".
5. Per questa ragione, il
ricorso deve essere rigettato. Nulla devesi disporre in ordine alle spese di
questo giudizio di cassazione, perché la parte intimata non vi ha svolto
difese.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione
rigetta il ricorso.
Massima
Si ha esercizio di attività
autonomamente organizzata soggetta ad IRAP quando lattività abituale ed
autonoma del contribuente dia luogo ad una struttura che potenzi ed accresca la
capacità produttiva del contribuente stesso. Non è invece di ostacolo alla
sussistenza dei requisiti per lapplicazione dellIRAP il fatto che
lapporto del titolare sia insostituibile perché si tratti di attività
riservata agli iscritti ad un albo (nel caso di specie un avvocato).
Svolgimento del processo - La
Commissione tributaria regionale dellEmilia-Romagna - Sezione staccata di
Parma, ha accolto, con sentenza 20 maggio 2004, lappello dellAvv. G.G.,
che aveva chiesto il rimborso di somme versate a titolo di Irap per gli anni dal
1998 al 2001, per un importo complessivo di circa lire 10 milioni, sul
presupposto che lorganizzazione di cui si serve un professionista iscritto
allAlbo, per grande che possa essere, non avrebbe alcuna rilevanza ai fini
Irap, perché determinante per lattività da svolgere sarebbe la figura del
solo professionista, la cui iscrizione ad un ordine professionale protetto
costituirebbe lelemento qualificante della professione stessa, senza alcun
rilievo per lorganizzazione di cui egli eventualmente si serva.
Il Ministero delle finanze e lAgenzia delle Entrate chiedono la cassazione di tale sentenza sulla base di un unico motivo. Lintimato non si è costituito.
Motivi
della decisione - Adducendo la violazione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n.
446/1997, come modificato dal D.Lgs. n. 137/1998, nonché difetto di motivazione
della sentenza impugnata lAmministrazione rileva come le argomentazioni
svolte dalla sentenza impugnata, incentrate sullesclusione dallIrap delle
attività svolte da professionisti appartenenti a specie protette, in
quanto tutelate dalliscrizione ad albi professionali, non trovi alcun
supporto nella lettera delle norme (artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997),
richiedendosi per limponibilità Irap (art. 2) lesercizio abituale di
unattività organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi, cioè che lesercizio di unarte o
professione sia svolto con una sia pur minima organizzazione, intesa come
possesso di beni strumentali o di utilizzo di personale terzo, idoneo a produrre
un valore aggiunto derivante dallorganizzazione del lavoro autonomo del
professionista.
Ha
errato quindi in diritto la sentenza impugnata laddove non ha dato alcun rilievo
al requisito dellautonoma organizzazione, essenziale ai fini Irap, a
prescindere da ogni valutazione di tipo quantitativo circa i mezzi di cui il
titolare si serve per lo svolgimento della propria attività.
Va
innanzi tutto premessa linammissibilità del ricorso del Ministero
delleconomia e delle finanze, non più legittimato a stare in giudizio, per
esservi subentrata già in grado di appello, lAgenzia delle Entrate, che è
soggetto autonomo e distinto rispetto al Ministero.
Va
quindi affermata la fondatezza del ricorso, che deve essere pertanto accolto,
anche se non può condividersi laffermazione dellAmministrazione secondo
la quale, nellambito del lavoro autonomo, resterebbero escluse
dallimposizione Irap soltanto le ipotesi di esercizio in forma occasionale
(art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997), le attività di collaborazione coordinata
continuativa (art. 49, comma 2, del Tuir) e le altre attività di cui ai commi 2
e 3 del citato art. 49 del Tuir (esercizio di attività professionale
subordinata o coordinata da altri), in quanto la mera auto-organizzazione
sarebbe sufficiente come presupposto dellimposta.
La
modifica introdotta dal D.Lgs. n. 137/1998 ha posto infatti in rilievo la
necessità che lattività del professionista, per essere ritenuta imponibile
a fini Irap, sia autonomamente organizzata (inciso inizialmente non
presente nella dizione degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997), cioè presenti
un contesto organizzativo esterno anche minimo, derivante dallimpiego di
capitali e/o di lavoro altrui, che potenzi lattività intellettuale del
singolo. Infatti, pur non potendosi ritenere esente dallimposta lattività
di un professionista, soltanto perché iscritto in albo professionale protetto -
come erroneamente sostenuto nella sentenza impugnata - essendo un tale assunto
contrario alla lettera e allo spirito della disciplina Irap, si deve
necessariamente affermare che il valore aggiunto oggetto dellimposizione deve
derivare dal supporto, fornito allattività del professionista, dalla
presenza di una struttura, riferibile, come afferma la difesa erariale nel
ricorso in esame, alla combinazione di fattori produttivi, funzionale
allattività del titolare.
Nella
specie, avendo la sentenza impugnata, nellaffermare lesclusione
dellimponibilità Irap del professionista protetto dalliscrizione al
proprio albo professionale, eluso ogni accertamento in ordine alla sussistenza o
meno di una struttura di supporto allattività del contribuente, la sentenza
impugnata va cassata, con rinvio degli atti ad altra Sezione della Commissione
tributaria regionale dellEmilia-Romagna, che dovrà stabilire se il
ricorrente utilizzi, nellesercizio della propria professione, beni
strumentali o lavoro altrui e in quale misura tali fattori incidano sui costi e
gli oneri esposti dal contribuente (per esempio, attraverso lanalisi del
Quadro RE della dichiarazione dei redditi) in relazione allesercizio della
sua professione.
P.Q.M.
la
Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle finanze. Accoglie il
ricorso dellAgenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale
dellEmilia-Romagna.
Corte di
Cassazione, sez. v, 16 febbraio 2007 n. 3676 consulente del lavoro
Massima
Il
requisito dellautonoma organizzazione, ricorre quando il contribuente:
a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile dellorganizzazione e non sia,
quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità
ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo lid quod
plerumque accidit, il minimo indispensabile per lesercizio dellattività
in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di
lavoro altrui.
Costituisce onere del
contribuente nel caso di specie un consulente del lavoro che chieda il rimborso
dellimposta asseritamente non dovuta dare la prova dellassenza delle
condizioni sopraelencate.
Svolgimento del processo -
Con atto notificato il 22 luglio 2004, il Ministero delleconomia e delle
finanze e lAgenzia delle Entrate proponevano ricorso contro la sentenza in
epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale
statuizione.
Lintimato S.F. resisteva
con controricorso e, depositata memoria da entrambe le parti, la causa veniva
decisa allesito della pubblica udienza dell8 febbraio 2007.
Motivi della decisione -
Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso emerge
in fatto che in data 19 novembre 2001, il consulente del lavoro S.F. chiedeva il
rimborso dellIrap versata per gli anni 1998/2001.
Lufficio non riscontrava
listanza e S.F. si rivolgeva alla Commissione tributaria provinciale di
Parma, che accoglieva il ricorso disponendo la restituzione dellintera somma
pagata.
Lufficio interponeva
appello alla Commissione tributaria regionale che rigettava, però, il gravame
sul presupposto che coloro i quali svolgevano professioni cosiddette protette,
erano esenti dallIrap indipendentemente dalla natura e dalla consistenza
dellorganizzazione utilizzata, sulla quale prevaleva comunque laspetto
personale dellattività.
Il Ministero delleconomia
e delle finanze e lAgenzia delle Entrate hanno censurato lanzidetta
statuizione deducendo, con lunico motivo, la violazione e falsa applicazione
degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (così come modificato dal
D.Lgs. n. 137/1998) in quanto la Commissione regionale avrebbe dovuto
riconoscere la sussistenza dei requisiti per lapplicazione dellimposta,
trattandosi nel caso di specie di attività autonomamente organizzata, destinata
alla prestazione di servizi ed esercitata in via abituale.
Così riassunte le doglianze
dei ricorrenti, va innanzitutto dichiarata linammissibilità del ricorso
proposto dal Ministero delleconomia e delle finanze, che non risulta avere
partecipato al giudizio di appello nemmeno a mezzo dei suoi uffici periferici.
Quanto al ricorso proposto
dallAgenzia delle Entrate, osserva il Collegio che con lart. 1 del D.Lgs.
15 dicembre 1997, n. 446 è stata istituita limposta regionale sulle attività
produttive (Irap), prevedendosi allart. 2 che il presupposto del tributo è
costituito dallesercizio di unattività diretta alla produzione o allo
scambio di beni o servizi.
Con il successivo art. 3 è
stato poi ribadito che i soggetti passivi dellIrap sono quelli che svolgono
una delle attività di cui allart. 2 e, pertanto, anche le persone
fisiche e le società semplici (od equiparate) che esercitano unarte o una
professione ai sensi dellart. 49, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n.
917 che, come chiarito dalla lettera a) del comma 2 allepoca vigente,
ricomprendeva in tale categoria tutti coloro che, per professione abituale,
svolgevano unattività di lavoro autonomo non classificabile come impresa o
come collaborazione coordinata o continuativa e, cioè, come prestazione di
servizi senza impiego di organizzazione propria.
Ciò posto e ricordato,
altresì, che con lart. 36 del predetto D.Lgs. n. 446/1997 è stata disposta
labolizione di alcuni tributi, fra i quali pure limposta comunale per
lesercizio di imprese, arti e professioni (che ai sensi degli artt. 1 del
D.L. n. 66/1989, convertito dalla L. n. 144/1989, e 4 del D.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633 colpiva anche essa i lavoratori autonomi non catalogabili come
imprenditori o semplici collaboratori coordinati o continuativi) occorre
ulteriormente rammentare che a distanza di pochi mesi dallentrata in vigore
dellIrap, è stato emanato il D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, con il quale è
stata riformulata la prima parte dellart. 2 sopra citato allo scopo di
chiarirne la portata, nel senso che il presupposto dellimposta è costituito
dallesercizio abituale di unattività autonomamente organizzata
diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
La norma così rimodellata ha
dato nuova linfa al dibattito in corso soprattutto per quel che riguarda
lapplicabilità dellIrap ai professionisti, che secondo un primo
orientamento esulano per definizione dal novero dei soggetti passivi, data
lassoluta prevalenza dellaspetto professionale su quello organizzativo.
A tale tesi estrema si è
contrapposta laltra, ugualmente radicale, secondo la quale coloro che
svolgono unarte o una professione ai sensi dellart. 49, comma 1, del
D.P.R. n. 917/1986, rientrano sempre e comunque fra i debitori dellimposta in
quanto, nellinserire la locuzione autonomamente organizzata nel corpo
dellart. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, il legislatore non ha voluto introdurre
alcun ulteriore requisito, ma soltanto confermare quanto già risultava
dallimpianto complessivo della legge e, cioè, che deve trattarsi di
unattività gestita in proprio e non sotto la direzione o allinterno di
una struttura altrui.
La maggior parte dei
commentatori si sono però schierati su di una linea intermedia, sostenendo che
la risposta al quesito non può essere data in astratto, ma in concreto,
accertando se il professionista si giovi o meno di un supporto organizzativo
sulla consistenza del quale, tuttavia, non cè unanimità di vedute perché
mentre alcuni si accontentano dellesistenza di un apparato qualsiasi purché
abbastanza significativo, ve ne sono invece altri che propendono per la necessità
della sua prevalenza o, addirittura, della sua capacità di produrre reddito
indipendentemente dalla presenza del titolare.
In tale variegato panorama
interpretativo, non è mancato neppure chi ha dubitato della conformità
dellIrap ai principi costituzionali e/o a quelli comunitari.
Alcune Commissioni tributarie
hanno condiviso le anzidette perplessità, investendo della questione la Corte
Costituzionale e quella di Giustizia della Comunità europea che, come è noto,
si è pronunciata con sentenza n. 87/2006, dalla quale non si ricavano però
spunti utili alla soluzione della presente controversia.
Più interessante è stato
invece lintervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n.
156/2001 ha innanzitutto sgombrato il campo da ogni equivoco circa la possibilità
di istituire parallelismi fra lIrap e lIlor, che non aveva superato il
vaglio di legittimità perché pur rappresentando unimposta patrimoniale
destinata a colpire i redditi di capitale o quelli misti di capitale e lavoro,
era stata indiscriminatamente estesa a tutti i redditi derivanti
dallesercizio di unarte o di una professione anziché soltanto a quelli
assimilati ai redditi dimpresa.
LIrap non operava, invece,
nessuna indebita equiparazione dei redditi di lavoro autonomo a quelli
dimpresa in quanto era unimposta volta ad incidere su di un fatto
economico diverso dal reddito, ossia sul valore aggiunto prodotto dalle singole
unità organizzative, che ove sussistente, costituiva un indice di capacità
contributiva capace di giustificare limposizione sia nei confronti delle
imprese che dei lavoratori autonomi.
Ciò non voleva certamente
dire che questi ultimi rientravano sempre tra i soggetti passivi dellimposta
perché se quello organizzativo costituiva un elemento connaturato alla nozione
stessa dimpresa, non altrettanto poteva dirsi per le arti e le professioni,
riguardo alle quali non era impossibile escludere in assoluto che lattività
poteva essere svolta anche in assenza di unorganizzazione di capitali e/o
lavoro altrui.
Ma lipotizzabilità di
unevenienza del genere, il cui accertamento costituiva una questione di mero
fatto, non valeva a dimostrare la denunciata illegittimità dellIrap, ma
soltanto la sua inapplicabilità per quei lavoratori autonomi che non si fossero
giovati di alcun supporto organizzativo.
Così pronunciando, la Corte
Costituzionale ha in definitiva affermato che lIrap può e, anzi, deve essere
applicata pure ai lavoratori autonomi, tenendo però presente che non si tratta
di una regola assoluta, ma solo dellipotesi ordinaria, nel senso che
lassoggettamento allimposta costituisce la norma per ogni tipo di
professionista, mentre lesenzione rappresenta leccezione valevole soltanto
per quelli privi di qualunque apparato produttivo.
Vero è che
linterpretazione che di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità
offre la Corte Costituzionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce
un vincolo per il giudice chiamato successivamente ad applicarla, ma è
altrettanto vero che quella interpretazione, se non altro per lautorevolezza
della fonte da cui proviene, rappresenta un fondamentale contributo ermeneutico
che non può essere disconosciuto senza lesistenza di una valida ragione.
Come infatti ha già
stabilito questa Corte con la risalente Cass. n. 2275/1969 (cui adde, più di
recente, Cass., SS.UU. civ., n. 22601/2004), qualora una determinata materia
venga sottoposta al vaglio sia della Corte costituzionale che della Corte di
Cassazione, il fondamento comune delle due distinte attività,
finalisticamente diverse, esige che, al fine dellutile risultato della
certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a divergere se
non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi
contraria a quella precedentemente affermata, soprattutto quando questa abbia
ricevuto obiettiva conferma da parte della successiva giurisprudenza,
costituzionale o ordinaria, come è avvenuto nel caso in esame, bastando
indicare in proposito le ordinanze della Corte Costituzionale n. 286/2001, n.
103/2002 e n. 426/2002, nonché la scelta operata, fra le varie opzioni, dalla
prevalente giurisprudenza ordinaria di merito.
Il Collegio intende quindi
accogliere le conclusioni cui è pervenuta la Corte Costituzionale perché
facendo leva sulla premessa della irrilevanza, per essi, dellapparato
produttivo, la tesi estrema - che esclude dallIrap tutti i professionisti o,
per lo meno, coloro che esercitano le cosiddette attività protette - finisce
per poggiare su di un presupposto contrario a legge e ad esperienza. Contrario a
legge perché, come si è visto, il D.Lgs n. 446/1997 non contrappone affatto
alcune professioni ad altre, ma si limita soltanto a distinguere fra chi si
serve di unorganizzazione e chi ne fa invece a meno.
Contrario ad esperienza perché
la stessa vita quotidiana insegna che lesistenza di una struttura organizzata
costituisce un fattore importante anche per un medico, per esempio, o per un
ingegnere o un avvocato, per i quali non è certo indifferente poter contare
sulla disponibilità di locali, collaboratori ed altro.
Ugualmente inaccettabile, però,
è anche la tesi opposta perché, muovendo da unerrata lettura del testo
normativo (che con lespressione autonomamente organizzata non ha inteso
riferirsi alla gestione in proprio dellattività, bensì allesercizio
della stessa con lausilio di un supporto materiale e/o personale), arriva ad
identificare il presupposto dellimposta nel lavoro stesso del professionista,
trasformando così lIrap da imposta patrimoniale ad (ulteriore) imposta
personale sul reddito da lavoro autonomo.
Quanto alle teorie
intermedie, conviene innanzitutto ricordare ancora una volta che lart. 2 del
D.Lgs. n. 446/1997 richiede unicamente la presenza di unorganizzazione
autonoma senza fissare alcun limite quantitativo diverso da quello insito nel
concetto stesso evocato dalle parole usate che, a loro volta, postulano soltanto
lesistenza di uno o più elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro
dellinteressato, potenziandone le possibilità.
Non occorre, quindi, che si
tratti di una struttura di importanza prevalente rispetto al lavoro del titolare
o addirittura in grado di generare profitti anche senza di lui, ma è
sufficiente che vi sia un insieme tale da porre il professionista in una
condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe trovato senza di esso.
La maggiore o minore
consistenza di tale insieme non è dunque importante purché, ben si intende, si
tratti di fattori che non siano tutto sommato trascurabili, bensì capaci di
fornire un effettivo qualcosa in più al lavoratore autonomo.
Lindagine sullesistenza
di tale qualcosa in più costituisce senza dubbio un accertamento di fatto che
il giudice di merito dovrà compiere caso per caso sulla base di una valutazione
di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica perché lassenza di
un struttura produttiva non può essere intesa nel senso radicale di totale
mancanza di qualsiasi supporto, ma neppure in quello di particolare rilevanza o,
peggio, di prevalenza dei beni e/o del lavoro altrui su quello del titolare.
Per far sorgere lobbligo
di pagamento del tributo basta, infatti, lesistenza di un apparato che non
sia sostanzialmente ininfluente, ovverosia di un quid pluris che secondo il
comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia
in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista.
Si deve cioè trattare di un
qualcosa in più la cui disponibilità non sia, in definitiva, irrilevante perché
capace, come lo studio o i collaboratori, di rendere più efficace o produttiva
lattività.
Non varrebbe in contrario
replicare che così ragionando si giunge a fare dei professionisti una categoria
indefettibilmente assoggettata allIrap perché, nellattuale realtà, è
quasi impossibile esercitare lattività senza lausilio di uno studio e/o
di uno o più collaboratori o dipendenti.
È infatti proprio per questo
che il D.Lgs n. 446/1997 ha inserito gli autonomi fra i soggetti passivi
dellimposta, in quanto anche essi si avvalgono normalmente di quella
struttura organizzativa che costituisce il presupposto dellimposta.
Ed è sempre per lo stesso
motivo che, come già detto in precedenza, il D.Lgs. n. 446/1997 ha, fra
laltro, abrogato lIciap, essendo lIrap destinata normalmente a colpire
coloro che in precedenza pagavano lIciap che, a sua volta, gravava sui
professionisti indipendentemente dalla consistenza della organizzazione da essi
predisposta.
In considerazione di quanto
sopra, va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: A norma del
combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c), del
D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, lesercizio delle attività di lavoro
autonomo di cui allart. 49, comma 1, del Tuir (nella versione vigente fino al
31 dicembre 2003) e allart. 53, comma 1, del medesimo Tuir (nella versione
vigente dal 1° gennaio 2004), è escluso dallapplicazione dellimposta
regionale sulle attività produttive (Irap) solo qualora si tratti di attività
non autonomamente organizzat.
Il requisito dell
autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando
il contribuente: a) sia sotto qualsiasi forma, il responsabile
dellorganizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative
riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali
eccedenti, secondo lid quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per
lesercizio dellattività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga
in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce
onere del contribuente che chieda il rimborso dellimposta asseritamente non
dovuta dare la prova dellassenza delle condizioni sopraelencate.
Tanto puntualizzato in via
generale ed astratta, rimane unicamente da aggiungere che nel caso di specie la
Commissione regionale non ha provveduto ad accertare la reale situazione di
S.F., in quanto ha rigettato il gravame dellufficio locale dellAgenzia
sulla base di un aprioristico convincimento contrario al diritto positivo.
In accoglimento del ricorso,
la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio degli atti ad altra Sezione
della Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna, che provvederà
anche sulle spese del presente giudizio fra lAgenzia delle Entrate e S.F.
Sussistono invece, giusti
motivi per compensare integralmente le spese di lite fra S.F. e il Ministero
delleconomia e delle finanze.
P.Q.M.
- la Corte, dichiara
inammissibile il ricorso del Ministero delleconomia e delle finanze, accoglie
quello dellAgenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad
altra Sezione della Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna, che
provvederà anche sulle spese del presente giudizio fra lAgenzia delle
Entrate e S.F.
Compensa integralmente le
spese di lite fra S.F. e il Ministero delleconomia e delle finanze.
Corte di
Cassazione, V sez., 16 febbraio n. 3677-ragioniere commercialista
Massima
Al fine di individuare i requisiti dellautonoma amministrazione lart. 2
del D.lgs. 446 del 1997 richiede unicamente la presenza di unorganizzazione
autonoma senza fissare alcun limite quantitativo diverso da quello insito nel
concetto stesso evocato dalle parole usate; non occorre, quindi, che si tratti
di una struttura dimportanza prevalente rispetto al lavoro del titolare o
addirittura in grado di generare profitti anche senza di lui ma è sufficiente
che vi sia un insieme tale da porre il professionista (nel caso di specie un
regioniere commercialista) in una condizione più favorevole di quella in cui si
sarebbe trovato senza di esso.
Svolgimento
del processo.
Con atto notificato il 7 dicembre 2004, l'Agenzia delle Entrate proponeva
ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con
ogni consequenziale statuizione.
L'intimato S.M. resisteva con controricorso e, depositata memoria da parte della
ricorrente, la causa veniva decisa all'esito della pubblica udienza dell'8
febbraio 2007.
Motivi della decisione
Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso emerge
in fatto che in data 12 novembre 2001, il ragioniere commercialista S.M.
chiedeva il rimborso dell'Irap versata per gli anni 1998/2000.
L'ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate non riscontrava l'istanza e S.M. si
rivolgeva alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che accoglieva il
ricorso disponendo la restituzione dell'intera somma pagata.
L'ufficio interponeva appello alla Commissione tributaria regionale che
rigettava, però, il gravame in quanto "l'assoluta inesistenza di personale
dipendente e di collaborazioni coordinate e continuative e la presenza di beni
strumentali di modesta portata (computer ed autovettura) comporta(va)
l'inesistenza di un'unità produttiva" per l'inidoneità di tali beni a
creare "di per sé, in assenza di altri elementi di organizzazione, un
maggior reddito o una maggior ricchezza rilevanti ai fini dell'Irap".
L'Agenzia delle Entrate ha censurato l'anzidetta statuizione deducendo, con
l'unico motivo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 144,
della L. 23 dicembre 1996, n. 662, 2, 3, 8, 27 e 36 del D.Lgs. 15 dicembre 1997,
n. 446 nonché l'omessa, illogica ed incoerente motivazione su punto decisivo
della controversia, in quanto la Commissione regionale avrebbe dovuto
riconoscere la sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'imposta,
trattandosi nel caso di specie di un professionista che, come tale, andava
assoggettato ad Irap in quanto svolgeva abitualmente un'attività autonomamente
organizzata per la prestazione di servizi.
Così riassunta la doglianza della ricorrente, osserva il Collegio che con
l'art. 1 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 è stata istituita l'imposta
regionale sulle attività produttive (Irap), prevedendosi all'art. 2 che il
presupposto del tributo è costituito dall'esercizio di un'attività diretta
alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
Con il successivo art. 3 è stato poi ribadito che i soggetti passivi dell'Irap
sono quelli che svolgono una delle attività di cui all'art. 2 e,
"pertanto", anche le persone fisiche e le società semplici (od
equiparate) che esercitano un'arte o una professione ai sensi dell'art. 49,
comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 che, come chiarito dalla lettera a)
del comma 2 all'epoca vigente, ricomprendeva in tale categoria tutti coloro che,
per professione abituale, svolgevano un'attività di lavoro autonomo non
classificabile come impresa o come collaborazione coordinata o continuativa e,
cioè, come prestazione di servizi senza impiego di organizzazione propria.
Ciò posto e ricordato, altresì, che con l'art. 36 del predetto D.Lgs. n.
446/1997 è stata disposta l'abolizione di alcuni tributi, fra i quali pure
l'imposta comunale per l'esercizio di imprese, arti e professioni (che ai sensi
degli artt. 1 del D.L. n. 66/1989, convertito dalla L. n. 144/1989, e 4 del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 colpiva anch'essa i lavoratori autonomi non
catalogabili come imprenditori o semplici collaboratori coordinati o
continuativi) occorre ulteriormente rammentare che a distanza di pochi mesi
dall'entrata in vigore dell'Irap, è stato emanato il D.Lgs. 10 aprile 1998, n.
137, con il quale è stata riformulata la prima parte dell'art. 2 sopra citato
allo scopo di chiarirne la portata, nel senso che il presupposto dell'imposta è
costituito dall'esercizio abituale di un'attività "autonomamente
organizzata" diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
La norma così rimodellata ha dato nuova linfa al dibattito in corso soprattutto
per quel che riguarda l'applicabilità dell'Irap ai professionisti, che secondo
un primo orientamento esulano per definizione dal novero dei soggetti passivi,
data l'assoluta prevalenza dell'aspetto professionale su quello organizzativo.
A tale tesi estrema si è contrapposta l'altra, ugualmente radicale, secondo la
quale coloro che svolgono un'arte o una professione ai sensi dell'art. 49, comma
1, del D.P.R. n. 917/1986, rientrano sempre e comunque fra i debitori
dell'imposta in quanto, nell'inserire la locuzione "autonomamente
organizzata" nel corpo dell'art. 2 del D.Lgs. n. 46/1997, il legislatore
non ha voluto introdurre alcun ulteriore requisito, ma soltanto confermare
quanto già risultava dall'impianto complessivo della legge e, cioè, che deve
trattarsi di un'attività gestita in proprio e non sotto la direzione o
all'interno di una struttura altrui.
La maggior parte dei commentatori si sono però schierati su di una linea
intermedia, sostenendo che la risposta al quesito non può essere data in
astratto, ma in concreto, accertando se il professionista si giovi o meno di un
supporto organizzativo sulla consistenza del quale, tuttavia, non c'è unanimità
di vedute perché, mentre alcuni si accontentano dell'esistenza di un apparato
qualsiasi purché abbastanza significativo, ve ne sono invece altri che
propendono per la necessità della sua prevalenza o, addirittura, della sua
capacità di produrre reddito indipendentemente dalla presenza del titolare.
In tale variegato panorama interpretativo, non è mancato neppure chi ha
dubitato della conformità dell'Irap ai principi costituzionali e/o a quelli
comunitari.
Alcune Commissioni tributarie hanno condiviso le anzidette perplessità,
investendo della questione la Corte Costituzionale e quella di Giustizia della
Comunità europea che, come è noto, si è pronunciata con sentenza n. 87/2006,
dalla quale non si ricavano però spunti utili alla soluzione della presente
controversia.
Più interessante è stato invece l'intervento della Corte costituzionale, che
con la sentenza n. 156/2001 ha innanzitutto sgombrato il campo da ogni equivoco
circa la possibilità d'istituire parallelismi fra l'Irap e l'Ilor, che non
aveva superato il vaglio di legittimità perché pur rappresentando un'imposta
patrimoniale destinata a colpire i redditi di capitale o quelli misti di
capitale e lavoro, era stata indiscriminatamente estesa a tutti i redditi
derivanti dall'esercizio dì un'arte o di una professione anziché soltanto a
quelli assimilati ai redditi d'impresa.
L'Irap non operava, invece, nessuna indebita equiparazione dei redditi di lavoro
autonomo a quelli di impresa in quanto era un'imposta volta ad incidere su di un
fatto economico diverso dal reddito, ossia sul valore aggiunto prodotto dalle
singole unità organizzative, che ove sussistente, costituiva un indice di
capacità contributiva capace di giustificare l'imposizione sia nei confronti
delle imprese che dei lavoratori autonomi.
Ciò non voleva certamente dire che questi ultimi rientravano sempre tra i
soggetti passivi dell'imposta perché se quello organizzativo costituiva un
elemento connaturato alla nozione stessa di impresa, non altrettanto poteva
dirsi per le arti e le professioni, riguardo alle quali non era impossibile
escludere in assoluto che l'attività poteva essere svolta anche in assenza di
un'organizzazione di capitali e/o lavoro altrui.
Ma la ipotizzabilità di un'evenienza del genere, il cui accertamento costituiva
una questione di mero fatto, non valeva a dimostrare la denunciata illegittimità
dell'Irap, ma soltanto la sua inapplicabilità per quei lavoratori autonomi che
non si fossero giovati di alcun supporto organizzativo.
Così pronunciando, la Corte Costituzionale ha in definitiva affermato che
l'Irap può e, anzi, deve essere applicata pure ai lavoratori autonomi, tenendo
però presente che non si tratta di una regola assoluta, ma solo dell'ipotesi
ordinaria, nel senso che l'assoggettamento all'imposta costituisce la norma per
ogni tipo di professionista, mentre l'esenzione rappresenta l'eccezione valevole
soltanto per quelli privi di qualunque apparato produttivo.
Vero è che l'interpretazione che di una norma sottoposta a scrutinio di
costituzionalità offre la Corte Costituzionale in una sentenza di non
fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice chiamato successivamente ad
applicarla, ma è altrettanto vero che quella interpretazione, se non altro per
l'autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un fondamentale
contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza l'esistenza di
una valida ragione.
Come infatti ha già stabilito questa Corte con la risalente Corte Cass. n.
2275/1969 (cui adde, più di recente, Corte Cass., SS.UU., n. 22601/2004),
qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio sia della Corte
Costituzionale che della Corte di Cassazione, "il fondamento comune delle
due distinte attività, finalisticamente diverse, esige che, al fine dell'utile
risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a
divergere se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza
alla tesi contraria a quella precedentemente affermata", soprattutto quando
questa abbia ricevuto obiettiva conferma da parte della successiva
giurisprudenza, costituzionale o ordinaria, come è avvenuto nel caso in esame,
bastando indicare in proposito le ordinanze della Corte Costituzionale n.
286/2001, n. 103/2002 e n. 426/2002, nonché la scelta operata, fra le varie
opzioni, dalla prevalente giurisprudenza ordinaria di merito.
Il Collegio intende quindi accogliere le conclusioni cui è pervenuta la Corte
Costituzionale perché facendo leva sulla premessa della irrilevanza, per essi,
dell'apparato produttivo, la tesi estrema - che esclude dall'Irap tutti i
professionisti o, per lo meno, coloro, che esercitano le cosiddette attività
protette - finisce per poggiare su di un presupposto contrario a legge e ad
esperienza. Contrario a legge perché, come si è visto, il D.Lgs. n. 446/1997
non contrappone affatto alcune professioni ad altre, ma si limita soltanto a
distinguere fra chi si serve di un'organizzazione e chi ne fa invece a meno.
Contrario ad esperienza perché la stessa vita quotidiana insegna che
l'esistenza di una struttura organizzata costituisce un fattore importante anche
per un medico, per esempio, o per un ingegnere o un avvocato, per i quali non è
certo indifferente poter contare sulla disponibilità di locali, collaboratori
ed altro.
Ugualmente inaccettabile, però, è anche la tesi opposta perché, muovendo da
un'errata lettura del testo normativo (che con l'espressione "autonomamente
organizzata" non ha inteso riferirsi alla gestione in proprio dell'attività,
bensì all'esercizio della stessa con l'ausilio di un supporto materiale e/o
personale), arriva ad identificare il presupposto dell'imposta nel lavoro stesso
del professionista, trasformando così l'Irap da imposta patrimoniale ad
(ulteriore) imposta personale sul reddito da lavoro autonomo.
Quanto alle teorie intermedie, conviene innanzi tutto ricordare ancora una volta
che l'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 richiede unicamente la presenza di
un'organizzazione autonoma senza fissare alcun limite quantitativo diverso da
quello insito nel concetto stesso evocato dalle parole usate che, a loro volta,
postulano soltanto l'esistenza di uno o più elementi suscettibili di combinarsi
con il lavoro dell'interessato, potenziandone le possibilità.
Non occorre, quindi, che si tratti di una struttura di importanza prevalente
rispetto al lavoro del titolare o addirittura in grado di generare profitti
anche senza di lui, ma è sufficiente che vi sia un insieme tale da porre il
professionista in una condizione più favorevole di quella in cui si sarebbe
trovato senza di esso.
La maggiore o minore consistenza di tale insieme non è dunque importante purché,
ben si intende, si tratti di fattori che non siano tutto sommato trascurabili,
bensì capaci di fornire un effettivo qualcosa in più al lavoratore autonomo.
L'indagine sull'esistenza di tale qualcosa in più costituisce senza dubbio un
accertamento di fatto che il giudice di merito dovrà compiere caso per caso
sulla base di una valutazione di natura non soltanto logica, ma anche
socio-economica perché l'assenza di un struttura produttiva non può essere
intesa nel senso radicale di totale mancanza di qualsiasi supporto, ma neppure
in quello di particolare rilevanza o, peggio, di prevalenza dei beni e/o del
lavoro altrui su quello del titolare.
Per far sorgere l'obbligo di pagamento del tributo basta, infatti, l'esistenza
di un apparato che non sia sostanzialmente ininfluente, ovverosia di un quid
pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è
portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al
professionista.
Si deve cioè trattare di un qualcosa in più la cui disponibilità non sia, in
definitiva, irrilevante perché di regola capace, come lo studio o i
collaboratori, di rendere più efficace o produttiva l'attività.
Non varrebbe in contrario replicare che così ragionando si giunge a fare dei
professionisti una categoria indefettibilmente assoggettata all'Irap perché,
nell'attuale realtà, è quasi impossibile esercitare l'attività senza
l'ausilio di uno studio e/o di uno o più collaboratori o dipendenti.
È infatti proprio per questo che il D.Lgs. n. 446/1997 ha inserito gli autonomi
fra i soggetti passivi dell'imposta, in quanto anch'essi si avvalgono
normalmente di quella struttura organizzativa che costituisce il presupposto
dell'imposta.
Ed è sempre per lo stesso motivo che, come già detto in precedenza, il D.Lgs.
n. 446/1997 ha, fra l'altro, abrogato l'Iciap, essendo l'Irap destinata
normalmente a colpire coloro che in precedenza pagavano l'Iciap che, a sua
volta, gravava sui professionisti indipendentemente dalla consistenza della
organizzazione da essi predisposta.
In considerazione di quanto sopra, va pertanto enunciato il seguente principio
di diritto: "A norma del combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e
3, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle
attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma 1, del Tuir (nella
versione vigente fino al 31 dicembre 2003) e all'art. 53, comma 1, del medesimo
Tuir (nella versione vigente dal 1° gennaio 2004), è escluso dall'applicazione
dell'imposta regionale sulle attività produttive (Irap) solo qualora si tratti
di attività non 'autonomamente organizzata'.
Il requisito dell''autonoma organizzazione', il cui accertamento spetta al
giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente
motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il
responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture
organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi
beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit,
il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta
asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle condizioni
sopraelencate".
Tanto puntualizzato in via generale ed astratta, rimane unicamente da aggiungere
che nel caso di specie la Commissione regionale ha valutato la situazione
concreta di S.M., osservando al riguardo che il medesimo non disponeva di una
struttura produttiva in quanto non si avvaleva di personale dipendente o di
collaboratori di altro genere, ma soltanto di beni strumentali di modesta entità.
Dal canto suo, l'Agenzia delle Entrate non ha sviluppato nessuna specifica ed
adeguata censura sul punto perché si è, in definitiva, limitata a sostenere
che i professionisti rientravano comunque nel novero dei soggetti passivi
dell'Irap.
Trattandosi di una tesi contraria al diritto, il ricorso di cui si discute va
pertanto rigettato.
La novità della questione giustifica, però, l'integrale compensazione delle
spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso,
compensando integralmente le spese di lite fra le parti.
Massime
Il requisito dellautonoma organizzazione ricorre quando il
contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile
dellorganizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative
riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali
eccedenti, secondo lid quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per
lesercizio dellattività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga
in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che
chieda il rimborso (nel caso di specie un avvocato) dellimposta,
asseritamente non dovuta, dare la prova dellassenza delle condizioni sopra
elencate.
Il tributo colpisce una capacità produttiva impersonale ed aggiuntiva
rispetto a quella propria del professionista perché, se è innegabile che
lesercente una professione intellettuale concepisce il proprio lavoro con il
contributo determinante della propria cultura e preparazione professionale,
producendo in tal modo la maggior parte del reddito di lavoro autonomo, è
altresì vero che quel reddito complessivo spesso scaturisce anche dalla parte
aggiuntiva di profitto che deriva dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal
numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle
prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto, eccetera.
Svolgimento del processo
Avverso silenzio-rifiuto su istanze di rimborso Irap per le annualità 1998,
1999, 2000 proponeva ricorso F.B. allegando di esercitare la professione di
avvocato nella sua abitazione senza dipendenti o collaboratori, utilizzando beni
strumentali di uso comune indispensabili per la sua attività e senza
investimento di capitali.
Il ricorso veniva rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Modena
con sentenza confermata dalla Commissione tributaria regionale di Bologna che
respingeva l'appello della contribuente nonostante costei ribadisse di difettare
di autonoma organizzazione con conseguente diritto al rimborso dell'Irap anche
alla luce dei criteri indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.
156/2001.
I giudici di secondo grado, peraltro, ritenevano che con l'utilizzo del concetto
di autonoma organizzazione il legislatore avesse inteso escludere dall'ambito di
applicazione dell'Irap solo quelle attività svolte con coordinamento e
controllo da parte di terzi quali le collaborazioni coordinate e continuative ed
i lavori occasionali, nel mentre nel caso dell'avvocato l'attività prestata a
favore dei clienti veniva posta in essere con regolarità, stabilità,
sistematicità, ripetitività di atti economici coordinati e finalizzati al
conseguimento di uno scopo, in tal modo realizzandosi il requisito della
autonoma organizzazione.
Ricorre per la cassazione della sentenza la contribuente denunziando - con
motivo unico - violazione degli artt. 2 (presupposto di imposta) e 3 (soggetti
passivi) del D.Lgs. n. 446/1997 relativamente alla ritenuta soggettività
passiva ai fini Irap della ricorrente, titolare di reddito autonomo ed esercente
la professione di avvocato senza avvalersi né di lavoro né di capitale altrui.
Assume - innanzi tutto - l'errata impostazione della sentenza nel delineare
l'ambito soggettivo di operatività dell'imposta posto che chi esercitava
attività lavorativa indirizzata, controllata e coordinata da altri non era
fiscalmente un lavoratore autonomo ma un titolare di reddito di lavoro
dipendente (art. 49 del Tuir) da sempre escluso dall'assogettamento al tributo.
Rileva che l'oggetto dell'Irap è costituito dal valore aggiunto costituito
dalla differenza tra potenzialità produttiva del lavoratore autonomo che poteva
contare solo su se stesso e potenzialità produttiva del lavoratore autonomo
coadiuvato da prestazioni lavorative e/o disponibilità finanziarie altrui,
occorrendo separare la capacità produttiva del singolo professionista dalla
capacità produttiva della struttura (intesa come combinazione di uomini,
macchine, materiali).
Richiama la sentenza della Corte Costituzionale (n. 156/2001) che aveva
ipotizzato la possibilità di un'attività professionale svolta - ancorché con
abitualità - in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui
rimettendone la verifica al giudice del merito e mette in luce l'equivoco in cui
era caduta la risoluzione n. 32/E del 2002 dell'Agenzia centrale delle Entrate
la quale aveva malamente interpretato la pronunzia della Consulta ritenendo che
il giudice delle leggi avesse inteso esonerare dall'Irap solo i collaboratori
coordinati e continuativi e le prestazioni di lavoro occasionali.
Ribadisce che l'imposta colpisce tendenzialmente non il reddito personale del
contribuente ma quello realizzato con l'impiego di prestazioni lavorative e/o
capitali altrui, cioè il VAP prodotto dall'autonomaorganizzazione che nel caso
di specie era completamente assente.
Resiste con controricorso l'Amministrazione finanziaria replicando che il fatto
che il contribuente prestasse la propria attività avvalendosi di beni
strumentali minimi e/o non utilizzando l'opera di dipendenti o terzi
collaboratori non escludeva il presupposto impositivo sussistente per la sola
"autonomia" nell'organizzare tempi e modalità di svolgimento della
propria attività.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato in tutte le sue articolazioni per le ragioni di seguito
esposte che debbono prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale
n. 156 del 21 maggio 2001.
1. Tale pronunzia - come è noto - ha affermato la conformità dell'Irap al
principio di capacità contributiva (art. 53 della Costituzione) riconoscendo la
non irragionevolezza della scelta del legislatore nell'individuare quale indice
rilevatore di ricchezza tassabile il valore aggiunto prodotto (VAP) dalle
attività autonomamente organizzate, cioè la ricchezza novella creata dalla
singola unità produttiva sia essa di carattere imprenditoriale che
professionale.
2. La Consulta - nel respingere tutte le prospettate questioni di illegittimità
costituzionale della normativa Irap (D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446) - ha
peraltro precisato che, mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla
nozione stessa di impresa, altrettanto non poteva dirsi per l'attività di
lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, potendosi
ipotizzare una attività professionale esercitata in assenza di organizzazione
di capitale o lavoro altrui.
Ha così concluso che laddove difettassero tali elementi (accertamento questo di
mero fatto rimesso al giudice del merito) veniva a mancare il presupposto stesso
dell'imposta derivandone la sua inapplicabilità.
3. Il passo della sentenza si riferisce alle attività di lavoro autonomo svolte
dai soggetti passivi che, ai sensi dell'art. 49, comma 1, del D.P.R. n.
917/1986, esercitano l'attività per professione abituale ancorché non
esclusiva, essendo esentati dall'imposizione - alla luce dell'art. 3, lettera
c), del D.Lgs. n. 446/1997 che non ne fa menzione - i produttori di redditi che
ricadono nei commi 2 e 3 dell'art. 49, in particolare coloro che si impegnano in
attività di lavoro autonomo occasionale o saltuario ovvero che si inquadrano in
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
4. Il circoscrivere l'esenzione dall'Irap solo a queste ultime categorie - come
vorrebbe l'Amministrazione finanziaria - non è dunque esatto, perché è lo
stesso legislatore ad avere espressamente escluso tali attività dal raggio di
azione del tributo e dunque ad esse non certo poteva alludere la pronunzia
costituzionale quando ha rimesso al giudice del merito la verifica fattuale del
contenuto organizzativo delle attività di lavoro autonomo evidentemente da
ricollegare a quello unico o preso in considerazione dall'art. 49, comma 1, del
D.P.R. n. 917/1986.
5. L'inciso di motivazione con cui la Corte condiziona l'applicabilità
dell'Irap - per i lavoratori autonomi - alla ricorrenza degli elementi
organizzativi di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 ha una propria valenza
ermeneutica ancorché non sia propriamente contenuto in una sentenza
interpretativa di rigetto (la quale postula la reiezione della questione in
conseguenza dell'attribuzione di un certo significato alla disposizione di legge
censurata come il solo conforme ai principi della carta fondamentale).
6. La Corte Costituzionale non può, infatti, effettuare una lettura della norma
non coerente con i principi costituzionali che entrano in gioco nella sua
delibazione così come, di fronte alle possibili interpretazioni della
disposizione legislativa, l'operatore giuridico è sempre tenuto a far prevalere
quella che consente di adeguare la norma primaria alla regola costituzionale che
ne rappresenta il parametro di validità.
7. Vero è che l'interpretazione che, di una norma sottoposta a scrutinio di
costituzionalità, offre la Corte Costituzionale in una sentenza di non
fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice successivamente chiamato ad
applicare quella norma; ma è altrettanto vero che quella interpretazione, se
non altro per l'autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un
fondamentale contributo ermeneutico che non deve essere disconosciuto senza
l'esistenza di una valida ragione.
Infatti, qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio sia della
Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione, "il fondamento comune
delle due distinte attività, finalisticamente diverse, esige che, al fine
dell'utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni
non vengano a divergere se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire
prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata" (Cass.,
SS.UU.. n. 2175/1969; vd., pure, SS.UU., n. 22601/2004).
8. Che l'organizzazione autonoma sia requisito indefettibile per
l'assoggettamento del reddito così prodotto all'Irap si evince ancora
dall'inserimento postumo della corrispondente dizione nell'originario dettato
normativo che in allora richiamava tra i soggetti passivi del tributo gli
esercenti le professioni intellettuali che a sensi dell'art. 49, comma 1, del
Tuir possedessero il requisito dell'abitualità, senza operare alcuna
distinzione tra attività non organizzata ed attività organizzata.
Il concetto di autonomia organizzativa è stato infatti introdotto con le
disposizioni correttive ed integrative contenute nel D.Lgs. 10 aprile 1998, n.
137 che - nell'intento di assicurare maggior chiarezza ai contribuenti nella
fase di prima applicazione del tributo e, al contempo, meglio precisarne la
portata in rispondenza ai criteri indicati dal legislatore con la legge di
delega (23 dicembre 1996, n. 662) prevedenti la tassazione solo in relazione
"all'esercizio di un'attività organizzata per la produzione di beni o
servizi" (ivi comma 144) - ha inserito nel testo la specificazione che la
attività doveva essere "autonomamente organizzata".
9. Va segnalato che la relazione illustrativa al decreto correttivo, rispondendo
alle osservazioni formulate nel parere della Commissione parlamentare, faceva
rilevare che le modifiche apportate agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997,
riguardanti il presupposto e i soggetti passivi Irap, intendevano rafforzare,
dal punto di vista sistematico, la costruzione del tributo chiarendo che il
presupposto andava ricercato nell'esercizio di attività produttive
"autonomamente organizzate" derivandone un più stretto e organico
collegamento con l'individuazione dei soggetti passivi, che purr restava quella
già formulata nell'art. 3.
Veniva altresì spiegato che il motivo dell'esclusione, dai soggetti passivi,
dei collaboratori che svolgevano attività coordinata e continuativa
assimilabile a quella del lavoratore autonomo era spiegabile nel fatto che il
prodotto di tale loro attività era sì da ricomprendere nella base imponibile,
ma non in capo a loro, bensì in capo al soggetto che si avvaleva della loro
opera e "organizzava" la loro attività.
10. Stante la natura di questi chiarimenti rivenienti la loro fonte nella legge
delega e diretti a fornire maggiore aderenza delle disposizioni delegate a tale
ratio, non vi ha dubbio che la suddetta interpolazione abbia voluto corroborare
autenticamente la correlazione della tassazione Irap a quel connotato oggettivo
ed autonomo che deve comunque coesistere con la figura del soggetto passivo per
la produzione di materia imponibile.
11. Anche sotto questo aspetto perde così valore la risoluzione dell'Agenzia
delle Entrate 31 gennaio 2002, n. 32/E il cui contenuto - ripreso dalla
circolare n. 141/E del 4 giugno 1998 e spesso trasfuso negli scritti difensivi
dell'Amministrazione davanti ai giudici tributari (come nel caso di specie) -
intenderebbe ravvisare il presupposto impositivo in tutte le attività di lavoro
autonomo esercitate a sensi dell'art. 49, comma 1, del Tuir (cioè con abitualità)
con esclusione delle sole fattispecie assimilate che si inquadrano
nell'organizzazione altrui, cioè i rapporti collaborativi [art. 49, comma 2,
lettera a)] ovvero il lavoro occasionale, cioè quello non esercitato
abitualmente [art. 81, comma 1, lettera l)].
Inoltre, come già si è detto, l'assumere che l'assenza del requisito
dell'autonoma organizzazione coincida solo con quella "mancanza di impiego
di mezzi organizzati" cui allude il testo del Tuir nel riferirsi alle
attività professionali espletate a favore di terzi nell'ambito di un rapporto
unitario e continuativo con retribuzione periodica prestabilita, significa
ridurre la portata dell'espressione indicata nell'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997
a mera evocazione di un principio già dal legislatore specificato per quella
tipologia.
12. Il criterio dell'autonomia organizzativa deve invece costituire regola
generale da adottare al cospetto di ogni ipotesi di lavoro
autonomo-professionale non esercitato in forma di impresa (poiché anche il
professionista intellettuale o l'artista può diventare imprenditore a sensi e
nei limiti indicati dall'art. 2238 del codice civile) posto che - in coloro che
quelle attività abitualmente svolgono e gestiscono - il fattore organizzativo
non è connaturato - come nell'impresa - alla persona fisica.
13. La Corte Costituzionale sul concetto di autonoma organizzazione -
presupposto impositivo degradato a questione di fatto rimessa alla verifica del
giudice del merito - non ha indicato cosa si debba realmente intendere con tale
locuzione, in particolare nulla esprimendo sulla relazione che deve intercorrere
con l'organizzatore e rinviando puramente alla nozione obiettiva di un
"coinvolgimento coordinato" di capitale o lavoro altrui da accertare
di volta in volta nelle singole fattispecie.
14. Le Commissioni tributarie provinciali e regionali, investite di un
contenzioso imponente sull'interpretazione di questo dato suscettibile - secondo
il suo atteggiarsi - di legittimare o negare la pretesa fiscale, hanno sul punto
creato un vero e proprio diritto vivente ancorché non del tutto omogeneo.
Va premesso che la giurisprudenza elaborata negli ultimi anni dai giudici di
secondo grado ha determinato una drastica contrazione dell'area di
inapplicabilità dell'Irap nei primi tempi estesa dalle giurisdizioni di primo
grado anche a categorie ontologicamente estranee a quelle di lavoro autonomo,
uniche incise dal dictum della Consulta, quali gli agenti di commercio
(rientranti nel paradigma dell'art. 2195 del codice civile richiamato dall'art.
51 del Tuir) e le società di persone minime coinvolti nella diversa vicenda
inerente all'Ilor che aveva portato la Corte Costituzionale (sent. n. 86/1986) e
quindi il legislatore (L. n. 408/1990) ad escludere dalla tassazione i relativi
redditi di impresa ove assimilabili a quelli di lavoro autonomo per prevalenza
della componente lavoro (o familiare) su quella patrimoniale.
15. Invero per le imprese (nelle quali vanno fiscalmente inquadrati anche i
soggetti che operano in contabilità semplificata redigendo il Quadro G della
dichiarazione dei redditi) il requisito dell'autonoma organizzazione è
intrinseco alla natura stessa dell'attività svolta (art. 2082 del codice
civile) e dunque sussiste sempre il presupposto impositivo idoneo a produrre VAP
tassabile.
A maggior ragione per le società per le quali l'attività esercitata è dalla
legge presunta iuris et de iure costituisce presupposto di imposta (art. 2 del
D.Lgs. n. 446/1997). Del resto la stessa Corte Costituzionale, nella citata
sentenza del 2001, non ha affatto ricollegato tale requisito alla sola
realizzazione di ricchezza tramite un'organizzazione in forma imprenditoriale ma
anzi ha riconosciuto - rispetto all'attività di lavoro autonomo in cui la
prestazione personale del contribuente è di norma essenziale - la possibile
ricorrenza del requisito organizzativo in termini propri e distinti da quelli
caratterizzanti l'impresa.
16. Tre sono gli orientamenti principali che - pur con qualche sfumatura - si
fronteggiano nel panorama giurisprudenziale italiano.
A) Un primo orientamento - per così dire massimalista - ritiene che l'Irap sia
sempre dovuta dal lavoratore autonomo (salvo nelle ipotesi espressamente escluse
dal legislatore) perché l'autonomia dell'organizzazione si identifica con
l'abitualità stessa della professione che non può prescindere dalla stabilità
e programmazione nel tempo delle energie intellettuali impiegate per acquisire
clientela, ottenere credito, competere sul mercato con legittime iniziative
frutto di una personale organizzazione che non può mai mancare.
B) Un secondo orientamento - minimalista - esclude l'assogettabilità ad Irap
per i professionisti esercenti una professione "protetta" che esige
l'iscrizione all'albo e non può mai spersonalizzarsi per il rapporto fiduciario
(intuitus personae) che lega il prestatore al cliente ed impedisce che la
predisposta struttura di risorse umane e materiali sia in grado di funzionare
indipendentemente ed autonomamente dal suo intervento.
Per quanto valore e consistenza possa rivestire l'organizzazione dello studio
nel potenziamento del lavoro professionale e dei profitti che ne conseguono, la
prestazione d'opera intellettuale resterebbe - secondo questo indirizzo -
infungibile ed insostituibile: dunque non si potrebbe mai parlare di autonomia
organizzativa distinta dalla prestazione personale.
C) Un terzo orientamento - intermedio - ritiene che l'Irap vada applicata nei
casi in cui il lavoro autonomo-professionale - quale esso sia - si avvalga di
una significativa o non trascurabile organizzazione di mezzi od uomini in grado
di ampliarne i risultati profittevoli, atteggiandosi come contesto
potenzialmente autonomo rispetto all'apporto personale rivolto ad un ruolo di
indirizzo, coordinamento e controllo.
Lo svolgimento di una libera professione, come quella di medico, avvocato,
commercialista, ragioniere, geometra, consulente, eccetera - secondo questa tesi
- si collocherebbe al di fuori dell'area di applicazione dell'Irap a condizione
che il professionista operi con un minimo di mezzi materiali ma senza l'ausilio
di dipendenti, collaboratori e procuratori di ogni tipo, esterni od interni e
consistenti beni strumentali.
17. Ritiene la Corte che sia quest'ultimo, in realtà, l'indirizzo che più si
attaglia alla ratio impositiva alla luce del ricordato intervento
costituzionale.
Non la tesi della autoorganizzazione [A)] fatta propria dall'Amministrazione
finanziaria ed espressa nelle richiamate circolari e risoluzioni confutate nei
precedenti paragrafi che vorrebbe assoggettabili ad Irap praticamente tutti i
titolari di partita Iva ad esclusione delle collaborazioni coordinate e
continuative e dei lavoratori occasionali.
Neppure la tesi [B)] che si basa su di un concetto "qualitativo" di
autonoma organizzazione che prescinde dalla dimensione e natura del supporto
strumentale del professionista incapace di funzionare autonomamente e di
"sganciarsi" dalla sua figura ed intuitus personale: dal che
deriverebbe una generalizzata esclusione dall'Irap per tutte le categorie
professionali "protette", dotate o meno di organizzazione.
Invero la Consulta - con la più volte citata sentenza n. 156/2001 - non ha
affatto negato la sussistenza del presupposto impositivo in capo ai lavoratori
autonomi ed ai professionisti per la presenza di un prevalente aspetto di
intuitus personae o di rilevanza primaria della prestazione personale svolta, ma
ha semplicemente affermato che il risultato produttivo di un professionista può
essere o meno influenzato dalla quantità e dalla qualità dei fattori (capitale
e lavoro) che impiega a quello scopo.
18. Va invece condivisa la tesi [C)] che legittima l'imposizione solo al
cospetto di una struttura organizzativa "esterna" del lavoro autonomo
e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che
per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto
alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di
corredo al suo know-how.
La ricchezza prodotta dall'impiego coordinato delle proprie facoltà mentali,
attitudini e spirito di iniziativa costituisce profitto esclusivamente derivante
dalla capacità del professionista che come tale non può essere ritassato dopo
aver scontato l'Irpef quale reddito di lavoro autonomo.
È invece il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che
coadiuva ed integra il professionista nelle incombenze ordinarie ad essere
interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o quid
pluris, realizzabile rispetto alla produttività autoorganizzata del solo lavoro
personale.
È questo il "differenziale" che rimanda ad un'organizzazione di
capitali o lavoro altrui affiancata al lavoratore autonomo ma da lui distinta
(sia sostituibile o meno) e che interagisce nella produzione del profitto
riconducibile all'organizzazione in quanto tale e non al singolo suo componente.
Il presupposto impositivo avvince così con carattere di realità un fatto
economico diverso dal reddito comunque espresso dalla capacità di contribuzione
in capo a chi è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della
ricchezza prodotta dai vari elementi che - in varia misura - concorrono alla sua
formazione.
Il tributo - in altre parole - colpisce una capacità produttiva
"impersonale ed aggiuntiva" rispetto a quella propria del
professionista perché, se è innegabile che l'esercente una professione
intellettuale concepisce il proprio lavoro con il contributo determinante della
propria cultura e preparazione professionale, producendo in tal modo la maggior
parte del reddito di lavoro autonomo, è altresì vero che quel reddito
complessivo spesso scaturisce anche dalla parte aggiuntiva di profitto che
deriva dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di
sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da
forme di finanziamento diretto ed indiretto, eccetera.
Come del resto precisato nella relazione sul progetto di federalismo fiscale del
marzo 1995 (richiamante al riguardo le fondamentali teorie economiche di
Studenski) che ha preceduto la relazione al decreto legislativo sull'Irap del
1997, la potenzialità economica è espressa dal coordinamento, organizzazione e
disponibilità dei fattori di produzione, sintomatica di una capacità
contributiva, associata al business e dunque "separata ed autonoma"
rispetto alla capacità contributiva personale del businessman.
Tanto è vero che le componenti passive della base imponibile sono computate nel
calcolo del volume di affari assoggettato ad Irpef mentre restano irrilevanti
quei costi (interessi passivi e spese per il personale dipendente ex art. 8 del
D.Lgs. n. 446/1997) in relazione all'Irap, quale naturale conseguenza della
scelta di un indice di commisurazione della capacità contributiva (VAP)
diversificato da quello utilizzato per la determinazione del reddito.
19. Circa l'individuazione degli elementi destinati ad assumere in concreto
rilevanza nella definizione del contesto organizzativo ai fini dell'imposizione
Irap, essi andranno per lo più rinvenuti in negativo escludendosi il requisito
occorrente a far scattare la soggettività passiva di imposta quando il
risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autoorganizzazione del
professionista o comunque l'organizzazione da lui predisposta abbia incidenza
marginale e non richieda necessità di coordinamento (in genere pochi mobili
d'ufficio, fotocopiatrice, fax, computer, cellulare, materiale di cancelleria,
vettura).
Esemplificativamente il giudice del merito potrà ricercare i dati di riscontro
del presupposto impositivo attraverso l'autodichiarazione del contribuente
ovvero la certificazione dell'Anagrafe tributaria in possesso
dell'Amministrazione finanziaria, soffermandosi sul dettaglio riportato nelle
pertinenti sezioni del Quadro RE (riguardante la determinazione del reddito di
lavoro autonomo ai fini Irpef) che specifica la composizione dei costi (righi da
6 a 18) riportando - tra gli altri - le quote di ammortamento dei beni
strumentali (con tipologia ricavabile dal registro dei cespiti ammortizzabili o
dal registro dei pagamenti), i canoni di locazione finanziaria e non, le spese
relative agli immobili, le spese per prestazioni di lavoro dipendente, per le
collaborazioni e di compensi comunque elargiti a terzi, gli interessi passivi.
Si tratta di regola empirica che facilita l'onere probatorio in un processo
caratterizzato da limitazioni istruttorie, quale quello tributario,
sostanzialmente incentrato sulle produzioni documentali e sugli eventuali poteri
acquisitori riservati in via integrativa al giudice tributario (comma 1
dell'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992).
Fermo restando che graverà sul contribuente che proponga domanda di ripetizione
di indebito (contro il silenzio-rifiuto od il diniego espresso di rimborso)
dimostrare il fatto costitutivo della sua pretesa, cioè la mancanza della causa
(autonoma organizzazione) che giustifica il prelievo fiscale.
20. Di conseguenza, laddove non sia segnalata la presenza di dipendenti e/o
collaboratori o l'impiego di beni strumentali al di là di quelli indispensabili
alla professione e di normale corredo del lavoratore autonomo, potrà essere
ricavato dalla Commissione adita un quadro affidabile di esercizio della
professione che - secondo una valutazione di natura non soltanto logica ma anche
socio-economica - induca a riscontrare l'assenza di una "organizzazione
produttiva" tassabile ai fini Irap.
21. Di questi criteri non sembra aver fatto buon governo la sentenza impugnata
che, senza indagare sulle modalità di esercizio dell'attività professionale
del contribuente [avvocato privo di dipendenti, utilizzante una porzione (a
quanto sembra esigua), della propria abitazione come studio professionale, non
avvalentesi di collaboratori esterni per mansioni professionali ed esecutive,
possedente beni strumentali di struttura semplice di uso comune e strettamente
necessarie all'esercizio personale della professione, quali telefono, fax,
computer e libri], l'ha ritenuta comunque assoggettabile ad Irap sul rilievo -
del tutto astratto ed inconferente anche sul piano motivazionale - che una
pluralità di atti economici coordinati e finalizzati ad uno scopo economico
bastasse a realizzare il presupposto impositivo voluto dalla legge.
22. Sul punto dunque la decisione andrà cassata e la causa rinviata - anche per
la liquidazione delle spese del presente giudizio - ad altra Sezione della
Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna che si atterrà per le
conseguenti determinazioni al seguente principio di diritto:
"L'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività
di lavoro autonomo diversa dall'impresa commerciale costituisce - secondo
l'interpretazione costituzionalmente orientata elaborata dalla Corte
Costituzionale - presupposto dell'Irap qualora si tratti di attività
'autonomamente organizzata'.
Il requisito dell''autonoma organizzazione' dell'attività di lavoro autonomo il
cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il
contribuente che eserciti l'attività di lavoro autonomo:
a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia,
quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità
ed interesse;
b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che secondo l'id quod
plerumque accidit costituiscono nell'attualità il minimo indispensabile per
l'esercizio dell'attività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga
in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta
asseritamente non dovuta allegare la prova dell'assenza delle condizioni
sopraelencate".
23. Il ricorso va pertanto in questi termini accolto e le spese - considerata la
natura della lite - possono compensarsi per giusti motivi.
P.Q.M.
la Suprema Corte
accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia - anche per le spese -
ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna.
Corte di
Cassazione, sez. v, 16 febbraio 2007 n. 3679-scrittore
Massima
Non è soggetto ad Irap
loperatore economico (nel caso di specie scrittore) che agisca utilizzando
solo il proprio ingegno in difetto di una organizzazione anche minima.
Svolgimento del processo - Il
Ministero delle finanze e lAgenzia delle Entrate propongono ricorso per
cassazione, affidato ad un motivo, contro la sentenza della Commissione
tributaria regionale della Liguria che ha accolto lappello del contribuente
A.P. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso da lui
proposto contro il silenzio-rifiuto formatosi su unistanza di rimborso
dellIrap versata per lanno 1998.
Il contribuente resiste con
controricorso.
Motivi della decisione -
1. Va preliminarmente
dichiarata linammissibilità del ricorso del Ministero delleconomia e
delle finanze, che non risulta aver partecipato al giudizio di secondo grado.
2. Con lunico motivo
lAgenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.
3 e 5 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e 49 e 51 del Tuir, nonché il vizio
di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia.
La sentenza impugnata - che,
alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 2001, ha escluso
lassoggettamento ad Irap di A.P., quale autore e scrittore, per difetto
del requisito dellautonoma organizzazione - avrebbe confuso il reddito
dimpresa ... con il reddito da lavoro professionale autonomamente
organizzato. Il requisito dellautonoma organizzazione sarebbe infatti
richiesto solo per escludere dallarea di imponibilità del tributo i
lavoratori dipendenti e gli altri lavoratori autonomi di cui allart. 49,
comma 2, del Tuir e non postulerebbe affatto che il professionista debba
avvalersi dellausilio di personale dipendente, in quanto la sentenza della
Corte Costituzionale ha confermato la legittimità del tributo nei confronti
del lavoro professionale autonomo anche in presenza dei soli elementi di
organizzazione di capitale.
2.1. Il mezzo è
inammissibile, non cogliendo la ratio decidendi.
La sentenza impugnata,
infatti, non postula affatto che il professionista sia assoggettato ad Irap solo
se impieghi personale dipendente, ma afferma che, nel caso di A.P., mancano
elementi di unorganizzazione anche minima, in quanto il contribuente,
nello svolgimento della sua peculiare attività, risulta contare solamente
sullopera del suo ingegno.
Secondo
lapprezzamento della Commissione tributaria regionale, congruamente motivato
e validamente sorretto dallelemento presuntivo rappresentato dallattività
di scrittore propria del contribuente, mancano dunque nella fattispecie anche
quegli elementi di organizzazione di capitale (e non anche di personale) che,
secondo la prospettazione della stessa Agenzia ricorrente, costituiscono il
presupposto minimo per limposizione del tributo nei confronti degli esercenti
arti e professioni.
3. Il ricorso va pertanto
rigettato.
La novità della questione
giustifica lintergale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M. - la Corte dichiara
inammissibile il ricorso del Ministero delleconomia e delle finanze; rigetta
il ricorso dellAgenzia delle Entrate; compensa le spese.
Suprema
Corte di Cassazione V Sezione - Sentenza
16 febbraio 2007, n. 3680 presentatrice televisiva
Svolgimento
del processo
L'Agenzia
delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la
sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania,
rigettando l'appello dell'Ufficio, ha confermato l'annullamento del
silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'IRAP versata per gli
anni 1998-2001, avanzata da R.C., di professione presentatrice televisiva,
ritenendo nella specie l'insussistenza - alla stregua della sentenza della Corte
costituzionale n. 156 del 2001 - di elementi di autonoma organizzazione.
La contribuente resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA
DECISIONE
1.
- Con il primo motivo l'Agenzia, con riferimento all'art. 360, primo comma, nn.
3) e 4), c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 16,
terzo comma, e 20, primo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione
all'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché dell'art. 101 c.p.c.
La sentenza impugnata è censurata nella parte in
cui ha disatteso l'eccezione pregiudIziale di nullità della notifica del
ricorso introduttivo, in quanto eseguita presso un ufficio incompetente
(l'Ufficio II.DD. di Napoli, in luogo della ex D.R.E. della Campania),
riproposta come motivo di appello.
1.1. - Il mezzo è infondato.
È pur vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la
legittimazione passiva nel giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto
formatosi sull'istanza di rimborso di tributi spetta esclusivamente
all'Intendenza di Finanza (successivamente sostituita dalla Direzione regionale
delle Entrate) e non anche all'Ufficio distrettuale delle imposte dirette, ai
sensi degli artt. 37 e 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (Cass. 1539/2003,
15206/2004, 5115/2005).
Deve tuttavia considerarsi che, nella specie, il ricorso introduttivo è
successivo allo gennaio 2001, data di entrata in funzione dell'Agenzia delle
Entrate, succeduta all'Amministrazione finanziaria dello Stato nelle funzioni
concernenti le entrate tributarie erariali, cosicché, alla data di notifica del
ricorso, tanto l'ex Ufficio delle Imposte dirette di Napoli (cui il ricorso è
stato notificato), quanto l'ex Direzione Regionale delle Entrate della Campania
(nei cui confronti era diretto) erano confluiti, entrambi, nell'Agenzia delle
Entrate di Napoli, competente a provvedere sul rimborso.
Ne consegue, dunque, che il preteso vizio di notifica si sostanzia in realtà in
un mero errore, da parte della contribuente, riguardo all'individuazione
dell'ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Napoli deputato a ricevere la
notifica; errore al quale non può ricollegarsi alcuna nullità.
2. - Con il secondo motivo è dedotto il vizio di motivazione insufficiente su
punti decisivi della controversia.
La Commissione tributaria regionale avrebbe negato la sussistenza del
presupposto impositivo, rappresentato dall'autonoma organizzazione, affermando
di basarsi sui dati emergenti dalla dichiarazione dei redditi e dalla altra
documentazione in atti, senza specificare tuttavia da quali concreti elementi
essa abbia tratto il proprio convincimento e senza dare alcun conto dei rilievi,
formulati dall'ufficio anche con l'atto di appello, riguardo ai rilevanti costi
per compensi a collaboratori e canoni di locazione, esposti dalla stessa
contribuente e tali da denotare lo svolgimento di un'attività
libero-professionale mediante un'idonea organizzazione produttiva.
2.1. - Il mezzo è fondato, nei termini di seguito precisati.
Con l'art. 1 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, è stata istituita l'imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP), prevedendosi all'art. 2 (nel testo
originario) che il presupposto dell'imposta è costituito dall'esercizio
abituale «di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni
ovvero alla prestazione di servizi».
Il testo del citato art. 2 è stato poco dopo modificato, al fine di chiarirne
la portata, dal d.lgs. 10 aprile 1998, n. 137, nel senso che il presupposto
dell'imposta è costituito dall'esercizio abituale di un'attività «autonomamente
organizzata» diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.
Il successivo art. 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, come anch'esso modificato dal
d.lgs. n. 137 del 1998, ribadisce che i soggetti passivi dell'imposta sono
coloro che svolgono una delle attività di cui all'art. 2, e «pertanto», tra
gli altri, indica, alla lettera c), le persone fisiche, le società semplici e
quelle ad esse equiparate esercenti arti e professioni di cui all'art. 49, comma
1, del TUIR.
Con la sentenza n. 156 del 2001 la Corte costituzionale, pur nella forma di una
pronuncia di mero rigetto (e non interpretativa) delle proposte questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 446
del 1997, ha offerto un significativo contributo all'esegesi della norma
censurata, in combinato disposto con l'art. 2 del medesimo decreto legislativo,
affermando che «nel caso di un'attività professionale che fosse svolta in
assenza di elementi di organizzazione (...) risulterà mancante il presupposto
stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato,
secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività autonomamente
organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla
prestazione di servizi", con conseguente inapplicabilità dell'imposta
stessa».
La tesi dell'Avvocatura, secondo la quale il giudice delle leggi avrebbe in tal
modo inteso riferirsi esclusivamente alle ipotesi di esercizio occasionale di
attività professionale, ovvero alle attività di cui ai commi 2 e 3 dell'art.
49 del TUIR, è all'evidenza priva di qualsiasi ragionevolezza.
Non vi è dubbio, infatti, che la Corte costituzionale abbia inteso prospettare,
nella sentenza, una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2 e
3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo e poiché tali norme già
chiaramente escludono dall'imposizione le attività non abituali (art. 2) e
quelle di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 49 del TUIR (art. 3, comma 1, lett c), la
lettura suggerita dall'Amministrazione renderebbe il passaggio più sopra citato
privo di qualsiasi significato, in quanto esso si limiterebbe a ripetere ciò
che nella legge è già affermato con assoluta chiarezza, senza che possa
prospettarsi alcun dubbio ermeneutico.
Deve dunque concludersi che la Corte costituzionale, nel postulare, in via
interpretativa, la necessaria presenza di «elementi di organizzazione» ai fini
della soggezione all'imposta dei professionisti, ha inteso sicuramente riferirsi
proprio alle persone fisiche esercenti abitualmente arti e professioni, di cui
all'art. 49, comma 1, del TUIR, astrattamente individuati come soggetti passivi
dell'imposta dall'art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 446 del 1997, in
combinato disposto con il precedente art. 2.
Vero è che l'interpretazione che, di una norma sottoposta a scrutinio di
costituzionalità, offre la Corte costituzionale in una sentenza di non
fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice successivamente chiamato ad
applicare quella norma; ma è altrettanto vero che quella interpretazione, se
non altro per l'autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un
fondamentale contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza
l'esistenza di una valida ragione. Come infatti ha asserito questa Corte in una
risalente pronuncia, qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio
sia della Corte costituzionale che della Corte di cassazione, «il fondamento
comune delle due distinte attività, finalisticamente diverse, esige che, al
fine dell'utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le
interpretazioni non vengano a divergere se non quando sussistano elementi sicuri
per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata»
(Cass., Sez. un., 20 giugno 1969, n. 2175; v. pure, più di recente, Cass., Sez.
un., 2 dicembre 2004, n. 22601): soprattutto quando questa abbia ricevuto
obiettiva conferma da parte della successiva giurisprudenza, costituzionale o
ordinaria, come è avvenuto nel caso in esame, bastando indicare in proposito le
ordinanze della Corte costituzionale n. 286 del 2001 e n. 103 del 2002 nonché
la scelta operata, fra le varie opzioni, dalla prevalente giurisprudenza
ordinaria di merito.
Le conclusioni cui la Corte costituzionale perviene nella sua sentenza
discendono dalla premessa che l'IRAP non è una imposta sui redditi ma
un'imposta che «colpisce (...) con carattere di realità, un fatto economico,
di verso dal reddito, comunque espressi va di capacità di contribuzione in capo
a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle
quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti
che, in varia misura, concorrono alla sua creazione» (par. 6.2. del Considerato
in diritto). Essa, dunque, «non colpisce il reddito personale del contribuente,
bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività aUtonomamente organizzate»
(par. 10.1.).
Muovendo da tale premessa la Corte costituzionale rileva, poi, che, «mentre
l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa,
altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo,
ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile
ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di
capitale o lavoro altrui».
Tenuto conto delle argomentazioni che sostengono la pronuncia in questione, che
vanno pienamente recepite, mentre non appare lecito porre ulteriormente in
dubbio, più o meno surrettiziamente, la legittimità costituzionale dell'IRAP
applicata ai lavori autonomi - dovendo aversi ormai per pacifico che tale
imposta colpisce un fatto economico diverso dal reddito rappresentato dal valore
aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate ciò che occorre
valutare, al fine di escludere, eventualmente, l'assoggettabilità in concreto
all'IRAP degli esercenti arti e professioni cui fa riferimento l'art. 3, comma
1, lett. c), del d.lgs. n. 446 del 1997, è se la loro attività professionale
sia svolta in assenza di elementi di autonoma organizzazione di capitale o
lavoro altrui.
Quanto all'individuazione del concetto di "autonoma organizzazione",
esso evidentemente comporta che si tratti di un'organizzazione di cui sia
responsabile, in qualsiasi forma, lo stesso professionista (il che porta ad
escludere dall'area dell'imposizione tutte quelle ipotesi in cui egli sia
inserito in una struttura organizzata da altri nel proprio interesse) e che tale
organizzazione non si esaurisca nella mera auto-organizzazione del lavoro
individuale, ma comporti l'utilizzo di beni strumentali - mobili (diversi dagli
strumenti indispensabili per l'esercizio dell'attività) o immobili (ad esempio
lo studio professionale), a qualsiasi titolo posseduti - e/o di lavoro altrui
(non necessariamente nella forma del lavoro dipendente), organizzati in modo da
accreScere in modo apprezzabile la capacità di guadagno del lavoratore
autonomo.
Alla stregua di tale indagine, l'assoggettabilità ad IRAP dovrà essere esclusa
solo in quanto venga accertata in punto di fatto l'assenza di siffatti elementi
organizzativi, non consentendo la lettera e la ratio della norma l'adozione di
un criterio quantitativo, in virtù del quale il professionista possa ritenersi
sottratto all'imposta in ragione della (necessariamente opinabile) esiguità dei
pur esistenti elementi di autonoma organizzazione.
Non può non considerarsi, al riguardo, che - come lo stesso giudice delle leggi
ha rilevato in altra pronuncia - carattere peculiare dell'IRAP è il suo essere
«tributo sostitutivo di altri tributi e prestazioni imposte» (sentenza n. 21
del 2005) e che tra i tributi aboliti dall'art. 36 del d.lgs. n. 446 del 1997 e
sostituiti dall'IRAP vi è anche l'ICIAP, che, a sua volta, gravava sui
professionisti, indipendentemente dalla consistenza dell'organizzazione da essi
predisposta.
L'onere di fornire la prova dell'assenza di elementi di organizzazione,
trattandosi di domanda di rimborso, grava evidentemente sul contribuente
istante.
2.2. - Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale non ha dato
adeguato conto di avere effettuato una esauriente valutazione di tutti gli
elementi in atti ed in particolare di quelli, emergenti dalla dichiarazione dei
redditi, espressamente indicati dall'ufficio nell'atto di appello come
sintomatici dell'esistenza di un'autonoma organizzazione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della
Commissione tributaria regionale della Campania, perché proceda ad un nuovo
esame dell'appello sulla base del seguente principio di diritto: «A norma del
combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del
d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle attività di lavoro autonomo
di cui all'art. 49, comma 1, T.U.I.R. (nella versione vigente fino al 31
dicembre 2003, e all'art. 53, comma 1, del medesimo TUIR, nella versione dal 1°
gennaio 2004), è escluso dall'applicazione dell'imposta regionale sulle attività
produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non "autonomamente
organizzata".
Il requisito dell'"autonoma organizzazione", il cui accertamento
spetta al giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se
congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi
forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in
strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b)
impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit,
il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di
organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.
Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta
asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle condizioni
sopraelencate».
Il giudice di rinvio provvederà altresì riguardo alle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta
il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e
rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria
regionale della Campania
Il professionista,
non strutturato, che ha aderito a sanatorie fiscali non può chiedere il
rimborso dell'Irap che ritiene indebitamente versata.