La riforma delle pensioni

Il senso dello Stato e la riforma delle pensioni. La riforma delle pensioni deve prevedere un passaggio graduale, rispettando principi di equità e solidarietà


A parte considerazioni filosofiche o accademiche , lo Stato (come evidenzia anche il suo significato letterale) in senso stretto non è altro che il complesso dei rapporti giuridici che legano i soggetti (cittadini ed Istituzioni) tra di loro in un ordinamento giuridico.

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Oltre ai rapporti giuridici in atto (actual o “allo stato”) ci sono però delle posizioni soggettive che stanno per diventare effettive sulla base delle leggi vigenti . Esse meritano tutela., in quanto aspettative maturate e conquistate sulla base di scelte di vita che facevano affidamento sullo Stato, inteso come mantenimento dell’ordinamento giuridico vigente. Tali situazioni soggettive , chiamiamole pre-giuridiche, fanno quindi parte anch’esse dello Stato in senso lato e sostanziale, anche se formalmente non sono veri e propri diritti. Non si tratta però di mere “illusioni”, come sono state definite nel 1994, con un grave errore di comunicazione, ma aspettative che un legislatore o un uomo politico che voglia essere definito Statista, deve tutelare. Ciò non vuol dire condannare lo Stato all’immobilismo, ma vuol solo dire che, una volta individuate le riforme necessarie , soprattutto quelle che incidono pesantemente sulla vita dei cittadini, occorre arrivare al risultato finale rispettando alcune modalità. Il passaggio deve avvenire in modo graduale, rispettando la maggior vicinanza delle singole posizioni all’acquisizione di veri e propri diritti, in modo equo , distribuendo i sacrifici in maniera più equilibrata possibile tra i titolari di queste situazioni giuridiche, in modo solidale, gravando il meno possibile sui più deboli, pur nel rispetto dell’equità distributiva ed infine in modo liberale, consentendo il massimo di libertà di scelta possibile agli individui penalizzati dalla riforma.
Partendo da questi presupposti la riforma, se comunque l’obiettivo finale è arrivare , per i noti motivi, a riconoscere le pensioni di anzianità solo a soggetti con 40 anni di contributi, deve penalizzare di meno chi ha aspettative più consolidate , partire da subito, per dividere i sacrifici tra il maggior numero di soggetti coinvolti, con l’attenzione di incidere meno sulle fasce più deboli. Il sistema più coerente con queste premesse mi sembra quello dei disincentivi che devono essere più alti quanto più è distante la soglia dei 40 anni e più è alta la pensione. Per chi invece vuole continuare a lavorare si può eventualmente pensare a degli incentivi. Sul piano propositivo si potrebbe ipotizzare un tale schema di disincentivi a partire dal 2004 : dall’ 1 al 5%, a seconda della distanza dai 40 anni di contributi, per i primi € 800 di pensione, dall’ 1,5 al 7,5% per la parte da € 800 a 2.000, dal 2,5 al 12,5% per la parte superiore ai 2.000. Ovviamente si tratta di calibrare i numeri con gli obiettivi di bilancio, sulla base degli studi di compatibilità e alla luce delle probabilità di efficacia della disincentivazione e dei risparmi che comunque si ottengono dalla stessa. La critica agli uffici studi di essere troppo teorici non deve comunque nascondere la mancanza di coraggio nell’ affrontare da subito la situazione senza rimandarla al 2008, lasciando così non solo il problema sostanzialmente aperto, ma anche creando un’iniquità nel differenziare troppo pesantemente chi ha acquisito i diritti prima del 2008, che non subisce alcuna penalità, da chi li ha acquisiti dopo, che deve sopportare tutto il peso della riforma. Per quanto si è detto sopra, una tale condotta certamente non é da Statisti. Sotto questo profilo, a parte gli errori di comunicazione, di cui si è visto, e la pesantezza della disincentivazione senza differenziazione sociale, era migliore lo schema del 1994!
Giuseppe Tarditi





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