"Medicina difensiva": un’epidemia dalle gravi conseguenze
I numeri del fenomeno della medicina difensiva e le ricadute della medicina difensiva sul paziente


Sono sempre di più i medici che adottano la strategia della cosiddetta “Medicina difensiva” a causa del timore di esporsi a procedimenti giudiziari per malpractice.


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La “Medicina difensiva” si verifica quando i medici prescrivono tests inutili, trattamenti o visite presso altri specialisti, od evitano pazienti o trattamenti a rischio solo allo scopo di proteggere se stessi. Questo fenomeno si sta diffondendo con gravi ripercussioni non solo sul costo delle cure, ma anche sull’accessibilità e sulla qualità dell’assistenza .
La diffusione del fenomeno della medicina difensiva viene confermata da numerosi studi.Tra essi per esempio una ricerca pubblicata dal Journal of the American Medical Association dimostra che una grandissima maggioranza di medici di varie aree terapeutiche adotta questa strategia professionale. Anche in Italia il problema della Medicina Difensiva è sempre più diffuso e ciò è confermato da una recente indagine promossa dalla Società Italiana di Chirurgia (SIC),
coordinata da Gabrio Forti, Ordinario di Diritto penale e Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica del S.C. di Milano, Direttore del Centro Studi "Federico Stella" sulla Giustizia penale e la Politica criminale, Maurizio Catino, Associato di Sociologia dell’organizzazione presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Milano – Bicocca, Condirettore della rivista "Studi Organizzativi", e condotta dall'avvocato Paola Cattorini e da Chiara Locatelli.
Dall’indagine è emerso che, tra i medici che hanno assunto una condotta difensiva durante l’ultimo mese di lavoro, l’82,8 per cento ha inserito in cartella clinica annotazioni evitabili, il 69,8 per cento ha proposto il ricovero di un paziente gestibile ambulatorialmente, il 61,3 per cento ha prescritto un numero maggiore di esami diagnostici rispetto a quello necessario, il 58,6 per cento ha richiesto un consulto non necessario di altri specialisti, il 51,5 per cento degli intervistati afferma di aver prescritto farmaci non necessari, il 26,2 per cento di avere escluso pazienti “a rischio” da alcuni trattamenti. Il problema riguarda soprattutto l’ambito chirurgico ed il motivo è stato“il timore di sostenere una causa a seguito dell’insuccesso medesimo”. Inoltre il 13,8 per cento degli intervistati ha richiesto al paziente da una a sei volte procedure invasive (es. biopsia) non necessarie. Un’altra forma di medicina difensiva, praticata soprattutto dai medici di medicina generale, è quella di mandare il paziente in ospedale con motivazioni poco plausibili.
Soprattutto i medici più giovani dichiarano di adottare comportamenti difensivi, raggiungendo il 92,3 per cento nella classe di età i 32 e i 42 anni , contro il 67,4 per cento dei colleghi tra i 63 e i 72 anni.
Questa prassi, per l’uso di un maggiore numero di strumenti diagnostici, quali esami, radiografie, ecografie, Tac, e per il ricorso ad un maggior numero di consulenti, da una parte comporta un aumento inutile ed ingiustificato della spesa del sistema sanitario, che si ripercuote di conseguenza sui cittadini che devono finanziarlo, dall’altra crea forti disservizi se non altro per l’allungamento delle liste d’attesa e per la maggior difficoltà di poter accedere ai servizi. Per non parlare poi del fatto che il ricorso a procedure diagnostiche invasive (ad esempio biopsie) non necessarie espone inutilmente il paziente a dei rischi e l’allungamento dei tempi per avere una diagnosi possono provocare stress emotivi, il prolungamento della sofferenza fisica ed anche il peggioramento della malattia.
Viene quindi ridotta la qualità dell’assistenza medica e contemporaneamente viene inficiato il rapporto tra il medico ed il paziente che nella maggior parte dei casi viene abbandonato a se stesso. I medici, prima di preoccuparsi della depenalizzazione del loro operato, hanno il dovere di informare il paziente in modo chiaro e dettagliato sul suo stato di salute e sulle cure disponibili con i vantaggi e le controindicazioni e devono agire sempre secondo “scienza e coscienza”, impegnandosi con lo stesso interesse che avrebbero nei confronti di un loro parente, in ossequio a quei principi etici della solidarietà umana, suggellati dallo stesso giuramento di Ippocrate,
Di conseguenza anche l’omissione di interventi che caratterizzano e fanno parte della funzione stessa del medico devono essere considerati un reato, in quanto si configura come un sottrarsi ai compiti ed alle responsabilità che competono alla professione e che vengono accettati e sottoscritti nel momento in cui viene intrapresa l’attività.
Il fenomeno della medicina difensiva lede i diritti indiscutibili del cittadino all’assistenza e all’accesso alle cure migliori e più adatte che la scienza e la prassi medica offrono in quel momento storico per contrastare o risolvere la patologia di cui è affetto. Non dimentichiamo che la Costituzione italiana, art. 32, recita che “ la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”.
Per la gravità delle conseguenze la strategia della "Medicina difensiva" è diventato quindi un tema su cui innanzitutto i medici devono interrogarsi, ma su cui deve riflettere anche il legislatore per individuare misure a tutela di tutte le parti, ma soprattutto per porre freno subito ad un malcostume, che potrebbe diventare un alibi per coprire eventuali incapacità ed impreparazione del personale medico o la sua scarsa disponibilità all’aggiornamento ed all’apprendimento continuo inerente i nuovi traguardi scientifici e le nuove procedure.
E’ necessario anche un impegno comune, in particolare dei mass media, che hanno il compito di informare e di sensibilizzare l’opinione pubblica e delle varie associazioni a tutela dell’ammalato per impedire che sia ulteriormente abbassato il livello assistenziale e per difendere e garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute.







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